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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 27 NOVEMBRE 2024

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Il potere della maggioranza Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla dittatura della maggioranza

Il potere della maggioranza Considerazioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla dittatura della maggioranza
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C’è l’obbligo di motivare le sentenze; e c’è anche l’obbligo di motivare spesso, gli atti amministrativi.

Avremo in futuro, anche l’obbligo di motivare le leggi?

O, almeno, la motivazione delle leggi sarà in molti casi ritenuta una opportuna garanzia, suggerita, se non del tutto imposta, dal sentimento di giustizia e dal senso di correttezza costituzionale e politica?

Nella mia attività di magistrato a contratto, mi è capitato più volte, e certamente è capitato anche ad altri miei colleghi, di pentirmi della decisione che era stata presa, insieme a me, dal Collegio; e il pentimento di solito ha preso corpo quando mi sono accinto a scrivere l’una dopo l’altra le pagine della motivazione della sentenza.

Certamente la decisione verbale, e non ancora scritta, era stata adottata dopo uno studio abbastanza attento delle circostanze di fatto e delle questioni di diritto; e di solito, in Camera di Consiglio, seguiva una discussione, spesso estesa e vivace, delle varie tesi in contrasto; ognuno dei magistrati esponeva argomenti e formulava i «motivi» della sua opinione; dei quali motivi, poi, alcuni prevalevano ed erano condivisi dalla maggioranza, e altri cadevano, ed erano ripudiati.

E’ da riconoscere però che la motivazione scritta, redatta a tavolino, nella quiete della propria stanza, a mente più riposata, dopo le accese discussioni e, talvolta, fuori delle polemiche, è un’altra cosa, specialmente quando la questione è complessa, e il caso è complesso.

A tavolino si rivedono le carte (e a volte sono voluminosi fascicoli); e si può avere, melius re perpensa, sul contenuto degli atti, una impressione nuova e diversa; si riscontrano i testi di legge, e talvolta sono tre, cinque o dieci, che formano un difficile intreccio; e la conclusione che si è formulata in precedenza, talvolta cedendo alle altrui insistenze, e talvolta seguendo la prima e affrettata impressione, in definitiva si rivela inesatta o poco giusta.

Sorgono, allora, i cosiddetti casi di coscienza.

La questione è riportata al Collegio, e questo, qualche volta, muta avviso, rendendosi conto che errare humanum est, perseverare diabolicum.

Dopo questo preambolo mi propongo di affrontare una questione nuova, e, ritengo, non manifestamente infondata, né inopportuna.

E la questione è questa: le leggi possono essere motivate?

Sarebbe bene che fossero motivate? O ciò sarebbe addirittura necessario, almeno in qualche caso?

La questione or ora proposta, in altri tempi, sarebbe apparsa addirittura illogica.

Vari secoli fa si diceva (in Inghilterra) che il Parlamento può far tutto, eccetto che cambiare l’uomo in donna; e con ciò si voleva appunto affermare che il Parlamento era onnipotente, e non era soggetto a restrizione di sorta né a controllo di sorta.

Oggi il clima è mutato; in regime democratico, il Parlamento deve dar conto al Paese; ma ci sono oggi limiti ognora crescenti, fissati dalla Costituzione, oltre che dalla procedura legislativa, limiti che il Parlamento non può valicare.

In molti paesi democratici esiste addirittura una Magistratura altissima, alla quale compete di decidere se gli organi legislativi sono rimasti, o non, nei giusti limiti; limiti posti dalla Costituzione, ma anche dai sommi principi dettati dalla logica giuridica e dal diritto; e, nel caso di violazione di questi principi, la legge è annullata: altro che potestà del Parlamento di far tutto!

Da ciò che ho esposto, discende che gli atti legislativi corrono ormai, e giustamente, il rischio di cadere, se sono disformi in modo grave ed evidente dai principi di elementare giustizia.

In altre parole, ci stiamo avviando verso una nuova e più larga concezione dell’«eccesso di potere» del legislatore.

Se si condivide il punto di vista ora espresso, si arriva facilmente alla conseguenza che è opportuna e forse necessaria la motivazione delle leggi, sia per garanzia di un regolare e più serio funzionamento dell’attività legislativa, sia per rendere più agevole e più efficiente il sindacato della Corte Costituzionale.

Qualcuno dirà che la motivazione della legge è superflua perché esistono i cosiddetti atti parlamentari: la relazione del proponente (cioè del Governo, o di uno o più esponenti del Parlamento); le relazioni o i pareri delle commissioni legislative; e i verbali delle discussioni.

E‘ chiaro però che gli atti parlamentari sono, tutt’al più un elemento utile per l’interprete, ma non sono affatto una motivazione adeguata di quello che è l’ultimo testo approvato, tante volte diversissimo da quello originario.

A questa conclusione, del resto si arriva facilmente con un ragionamento logico-giuridico.

Una questione analoga è stata fatta per le deliberazioni dei Consigli comunali: si era sostenuto che tali deliberazioni non abbisognano di motivazione, perché questa si può dedurre dalla proposta e dai discorsi dei vari consiglieri comunali (almeno, quando i discorsi ci sono stati).

Giustamente però molti anni fa il Consiglio di Stato ha deciso in senso contrario.

Cosi, se in seno al Consiglio un consigliere sostiene che l’impiegato, sottoposto a procedimento disciplinare, è colpevole, e un altro consigliere sostiene il contrario, la deliberazione, per essere motivata, deve contenere un ragionamento conclusivo che ponga a raffronto le due tesi in contrasto, indicando perché una tesi è stata accolta e l’altra è stata respinta.

E’ da aggiungere, poi, che in vari casi, abbiamo avuto, in Italia, leggi motivate.

I codici emanati tra il 1939 e il 1942 furono preceduti da una relazione «giustificativa» del Guardasigilli al Capo dello Stato; e così pure una pregevole ed ampia motivazione fu premessa al testo unico (delegate) sulla Finanza locale approvato nel 1931; altra pregevole relazione fu pubblicata (anche sulla Raccolta Ufficiale delle leggi) ad illustrazione e giustificazione del testo unico sulla caccia, approvato con decreto Presidenziale 5 giugno 1939 n. 1016. Lo stesso si fece per la vecchia legge fallimentare.

Per alcuni dei casi suddetti, può dirsi che gli autori della Relazione, oltre che esporre i motivi del proprio operato, hanno anche inteso dare interpretazione autentica e direttive a coloro che la legge avrebbero dovuto applicare.

Non presumo di essere pervenuto, su un argomento così nuovo ed importante, a conclusioni definitive.

Mi sembra tuttavia di avere impostato la questione in maniera che essa, prima o poi, potrà formare oggetto di studi e sviluppi.

Può darsi che tra qualche decennio la motivazione delle leggi divenga frequente e non sia più rara ed eccezionale; e che sarà considerata come un ulteriore riconoscimento dei principi dello Stato di diritto, ossia dello Stato di giustizia, che non è propriamente la stessa cosa dello Stato dei partiti e dello Stato delle maggioranze.

Certo, «la dittatura della maggioranza» è meno ostica della dittatura di un uomo solo: neppur essa è però sempre fondata sul diritto e sulla giustizia.