Il Regio Pretore Narrazione tra l’ironico ed il surreale del giurista blogger Giovanni Cardona sulla violata sacralità del processo
Un sabaudo Pretore di quell’epoca, tipo dispotico, strano, più appartenente alla psichiatria che alla geometria del diritto prima dell’apertura dell’udienza, appallottolava dei pezzettini di carta e su ognuno scriveva così: “2 mesi di reclusione, 2 anni di reclusione, 5 lire di multa, 10 lire di multa, 3 anni di reclusione, 6 mesi di arresto, 8 mesi di arresto, 50 lire di multa, 10 anni di reclusione, 15 anni di reclusione, ergastolo, pena di morte”.
Poi li disponeva nel tiretto.
Un giorno si presenta davanti a lui un contadino che aveva rubato delle galline del vicino.
Dopo la difesa dell’avvocato che, presentando il proprio cliente come un “povero Cristo”, ne chiedeva l’assoluzione per “evidente stato di necessità” il Pretore un po’ tra lo sgomento e un po’ tra la curiosità del pubblico che assiepava l’aula, alzatosi in piedi così giudica: “In nome di sua Maestà il Re d’Italia, il Pretore, visti gli atti…”.
A questo punto si ferma, apre il tiretto, acchiappa il primo pezzettino di carta, lo apre e legge continuando: “Condanna l’imputato Giuseppe Percialunga alla pena di 10 anni di reclusione”.
Allora l’imputato sgomento e quasi implorandolo gli dice: “Signor Pretore, ma come 10 anni di reclusione, ma ho solo rubato le galline perché avevo fame!”
Il Pretore, tra la tragica ilarità generale gli risponde: “Ringrazia Dio che ti è andata bene, perché qua dentro ci sono appallottolate condanne ancora più gravi!”
Questa storiella, per esser umoristica, è davvero emblematica…
Osservava, da par suo, e con la sua fredda logica Blaise Pascal: “l motivi per cui la gente ammira Cicerone sono proprio le ragioni per cui Cicerone non mi piace“.
Ora, a ben considerare, Cicerone si batteva per gli stessi ideali di verità, di libertà e di giustizia per i quali si battevano, prima di lui, Lisia e Demostene e per i quali, ancor oggi, si battono gli avvocati di tutto il mondo.
Cicerone se difendeva qualcuno che era palesemente colpevole ma vinceva la causa, certamente la gente lo detestava; se, invece, accusava qualcuno che era palesemente innocente ma vinceva la causa, certamente la gente lo ammirava. Oppure era tutto il contrario?
Nessuno può controllare le emozioni della folla…
In tutte le epoche della storia, sono sempre le stesse emozioni che incalzano il pubblico in un’aula di Giustizia per processi terribili, dove la verità viene di volta in volta “incatenata”, “slegata” e “incatenata di nuovo“.
Si dà il caso che gli strangolatori della verità sono sempre gli ultimi a sapere che, in tal modo, hanno anche strangolato la placenta del mondo.
Anche Sartre, sempre acutamente e spietatamente, ebbe a dire che “la verità è una bugia”, aggiungeremmo, inalberata dinanzi alle miserie degli uomini che si presentano dinanzi allo scranno del giudizio umano.
Se la più grande avventura dell’uomo è quella di aver inventato la giustizia, ma questa viene calpestata, allora il più grande errore di Dio è quello di aver inventato l’uomo.
Non per nulla Aristotele asseriva che: ”La verità sta in fondo a un urlo“.