Il senso del Natale per ritornare umani Riflessione di don Leonardo Manuli
«E se invece venisse per davvero? Se la preghiera, la letterina, il desiderio spesso così, più che altro per gioco venisse preso sul serio? Se il regno della fiaba e del mistero si avverasse? Se accanto al fuoco al mattino si trovassero i doni, la bambola e il revolver, il treno, il micio, l’orsacchiotto, il leone che nessuno di voi ha comperati? Se la vostra bella sicurezza nella scienza e nella dea ragione andasse a carte a quarantotto? Con imperdonabile leggerezza forse troppo ci siamo fidati. E se sul serio venisse? Silenzio! O Gesù Bambino per favore cammina piano nell’attraversare il salotto. Guai se tu svegli i ragazzi che disastro sarebbe per noi così colti intelligenti brevettati miscredenti noi che ci crediamo chissà cosa coi nostri atomi coi nostri razzi. Fa’ piano Bambino, se puoi» (Dino Buzzati).
Guardando con un certo realismo, in una aperta e sincera riflessione, nella nostra epoca ormai “non più cristiana”, – qualora fosse rimasto qualche residuo, in alcuni valori -, nella preparazione celebrativa delle feste natalizie, abbiamo pregato di non essere disturbati dall’umanizzazione di Dio, senza nulla importarci della sua venuta, anche se non abbiamo rinunciato ai riti, agli auguri, alle letterine, dell’addobbo dell’albero, i doni, le luci, i pranzi e le cene sovrabbondanti.
Scrive il monaco di Bose, Enzo Bianchi: «Natale è certamente la festa più ricca di simboli nel nostro occidente: simboli e riti caratterizzano questi giorni e di fatto determinano in noi sentimenti, emozioni, o anche rigetto, ma la loro presenza e la loro frequenza non ci sono indifferenti». Ogni Natale è sempre diverso, si cerca di colorarlo con tanti abbellimenti, ma quello cristiano, cioè, la celebrazione della nascita di Dio, la sua manifestazione nella carne, che parla di umanità, di dialogo, di prossimità, di accoglienza, di amore, che si svuota e si abbassa in Gesù Cristo, e si è mostrato solidale con noi fino alla morte, non ha portato una novità inedita? Perché la paura, la diffidenza, l’indifferenza e la negazione della dignità umana sono trionfano senza opposizione e scandalo? La grande festa del Natale, si è svuotata del suo potenziale sovversivo e liberante, Gesù Cristo, e quel simbolo della convivenza e della gioia condivisa nella tavola, nel focolare domestico, dove tutti si mettevano insieme, per non festeggiare il Natale da soli, è solo un lontano miraggio: «Quando infatti si fa prevalere il sentimento sul significato, si corre il rischio di considerare il Natale alla stregua di una leggenda o di una bella favola, come quella di Babbo Natale, che fa certamente vibrare per qualche giorno le emozioni, ma poco nulla in incide nella vita degli uomini, ed poi, passato il Natale, si ripone via, come le luci e gli addobbi natalizi» (A. Maggi).
Il Natale è troppo scontato, per chi non sa più meravigliarsi, il Bambino, una famiglia, Maria e Giuseppe, i pastori, i Magi, illuminavano con semplicità gli spazi familiari e sociali, fungevano come una rinascita dell’umano nel riconoscere nel volto del Bambino sguardi vitali e non distaccati, di grande vertigine compassionevole, e ci si lasciava toccare dentro la propria esistenza. Ieri, come oggi, chi festeggiava il Natale, soffriva ferite, affrontava con fatica la vita quotidiana, tuttavia, quello che forse manca, è quel ridire con entusiasmo l’attesa, di rimettere in moto la speranza, di ridare un po’ di fiducia nella vita e negli altri, di contemplare il mistero.
Forse non c’è più spazio per il mistero? Nei primi secoli, si parlava dei cristiani come “anima del mondo”, stavano in dirimpetto alla società, avevano una visione positiva della vita, solidarizzavano con gli altri, partecipavano alla costruzione della polis, vivevano in simpatia con gli altri. Nel processo di secolarizzazione, quella partecipazione e quel contribuito umano e valoriale cristiano non è più incisivo, soprattutto nella testimonianza dei valori per la giustizia, la pace, la solidarietà. È ancora possibile riconoscere nella società, quella “differenza cristiana” che animava il mondo? Cioè, l’apporto significativo che legava la fede in Dio con la difesa e la promozione della persona umana? In questo regime di “non cristianità”, bisogna rivedere dove sta questa “differenza”, come edificare nuovamente la “casa comune”, come dialogare e partecipare alla realizzazione degli obiettivi dell’umano, quale messaggio profetico, in un società che non si accorge più di nulla, distratta e indifferente, sul quale si giocherà la sfida della credibilità e della testimonianza, di un pensiero critico ma soprattutto, della fedeltà a Cristo e al vangelo.