Il viaggio dell’Infiorata nel segno di Gemelli Careri Domenico Caruso racconta la storia del celebre taurianovese
di Domenico Caruso
La suggestiva infiorata, che tanto sta entusiasmando la nostra città, quest’anno è stata dedicata al celebre taurianovese Giovanni Francesco Gemelli Careri del quale seguirà un modesto profilo. Nell’ottava bolgia infernale Dante condanna i consiglieri fraudolenti fiorentini, paragonandoli a “lingue di fuoco”, ma cambia atteggiamento di fronte ad Ulisse. Nel segnalare l’eroe greco, il cui errare è l’unica forma di vita, ne valorizza il coraggio e il desiderio di conoscenza e verità. Diversamente, Ulisse per Omero rappresenta il viaggiatore che attraversa infiniti pericoli pur di tornare alla nativa Itaca. L’Alighieri apprende dall’astuto acheo la tormentata peregrinazione che influenzerà la letteratura successiva. L’invito che l’Odisseo rivolge ai compagni per avventurarsi nell’oceano è un capolavoro di eloquenza retorica:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza. (Inf. XXVI, 118-120)
Prima del Divino Poeta, da Orazio a Seneca, a Cicerone era stato valutato il patrimonio di saggezza conquistato da Ulisse nel suo viaggio, facendone il simbolo della virtù (“humanitas”) intesa come insaziabile aspirazione umana del sapere. Nel XVII secolo il desiderio di vedersi in azione di Giovanni Francesco Gemelli Careri richiama, ancora, il mito di Ulisse. Nato a Radicena (ora Taurianova) tra il 1648 e il 1651, il nostro esploratore cessò di vivere a Napoli il 25 luglio 1724. La sua esistenza fu molto laboriosa. Laureatosi a Napoli “in utroque iure” (giurisprudenza) nel 1670, per 14 anni svolse con successo funzioni giuridiche nel Vicereame partenopeo. Costretto a lasciare l’impiego, intraprese un primo viaggio in Europa (Italia, Francia, Inghilterra, Paesi Bassi e Germania).
Nel 1686 partecipò alla guerra contro i Turchi in Ungheria rimanendo ferito.
Dopo un breve rientro a Napoli, ripartì per l’Ungheria e si distinse sotto il comando del duca Carlo V di Lorena nella battaglia di Mohács (agosto 1687), ottenendo come ricompensa la reintegrazione nella Magistratura del Regno di Napoli per due bienni di auditore, uno a Lecce e l’altro all’Aquila. Trascorso il periodo, intraprese l’avventura del giro del mondo via terra. L’intenzione era di visitare la Terrasanta e l’Impero cinese.
Intanto dai concittadini veniva definito: “’Nu vagabundu, chi tantu vagabundau chi giriau ’u mundu”. Si ritiene, invece, che perfino Jules Verne (1828-1905) abbia avuto, dalla geniale impresa del nostro esploratore, l’ispirazione per il suo romanzo “Giro del mondo in 80 giorni”. Il 13 giugno 1693, imbarcatosi su una feluca napoletana, dopo alcune brevi tappe, Gemelli approdò a Gioia Tauro; proseguì, quindi, per Radicena dove sostò fino al 28 del mese. Ripartito, toccò Malta ed Alessandria prima di avviarsi al Cairo e a Gerusalemme. Rientrato ad Alessandria si diresse a Costantinopoli, a Trebisonda e in Persia dove vide le rovine dell’antica città di Persepoli. Raggiunse, in seguito, Daman nell’India (gennaio 1695). Il Gran Mogol gli riservò un’udienza privata e l’avrebbe voluto al suo servizio.
Ripartito per Goa, il 4 agosto 1695 fu ricevuto a Macao nel convento dei padri agostiniani spagnoli. Il 19 agosto a Canton sia i francescani che i gesuiti portoghesi lo ritennero inviato dal Papa in Cina a prendere informazioni sugli ordini religiosi e la giurisdizione episcopale. Non ostante la smentita dell’ipotesi, i frati l’aiutarono a trovare una guida e un domestico per farlo andare a Pechino, dove giunse il 6 novembre 1695. Là il superiore dei missionari portoghesi Filippo Claudio Grimaldi, in occasione del calendario per l’anno 1696, lo presentò all’imperatore.
Dopo Pechino, Gemelli pervenne alla Grande Muraglia (gennaio 1696). Rientrato a Canton, l’8 aprile arrivò alle Filippine. Con un galeone spagnolo, quindi, giunse al Messico e a L’Avana. Da qui tornò in Europa, a Cadice (giugno 1698). Attraversate la Francia e l’Italia, pernottò a Roma, prima di concludere il “giro” a Napoli. Il viaggio durò complessivamente cinque anni, cinque mesi e venti giorni (13 giugno 1693 – 3 dicembre 1698). Gemelli scrisse tre opere edite a Napoli: “Relazione delle campagne d’Ungheria” (1689), “Viaggi per l’Europa” (1693) ed il “Giro del mondo” in 6 volumi (1699-1700) che lo rese famoso. Poiché l’impresa appare fine a se stessa, il Gemelli viene considerato l’inventore del turismo. Furono numerose le ristampe, in diverse lingue, del suo “Giro”. Tuttavia c’è chi ritenne che Gemelli nel suo lavoro fosse stato aiutato dall’amico e collaboratore Matteo Egizio, letterato e archeologo napoletano; altri addirittura l’accusarono di plagio. Nell’impossibilità di trattare in un servizio la vastità dell’opera, ne rileviamo qualche aspetto. Gemelli nel visitare i vari popoli non si soffermò agli usi, costumi e tradizioni ma puntò anche sui sistemi politici e religiosi. Senza venir meno alla sua Fede cristiana, fece attenzione alle credenze e ai riti dei luoghi raggiunti ponendosi il problema della loro genesi e del loro divenire.
Tuttavia, il successo del “Giro del mondo” non procurò all’autore l’anelata promozione ed a nulla valse nel 1701 l’aver dedicato la nuova edizione del “Viaggio in Europa” a Filippo V. Nell’incipit abbiamo fatto ricorso all’archetipo di Ulisse (“homo viator”) per il quale le peripezie erano imposte dagli dei. Le stesse, invece, per Gemelli rappresentano un valore personale. Siamo certi che anche le contestazioni non reggano al confronto dell’erudito, storiografo e antropologo che seppe ricostruire gli eventi mondiali del suo tempo. Auspichiamo, pertanto, che almeno nel nostro paese sia bandita dal coraggioso viaggiatore l’etichetta di “vagabondo” e venga valorizzata la sua opera eccezionale.
Bibliografia essenziale:
1 – Angela Maccarrone Amuso: “Gianfrancesco Gemelli-Careri” – L’Ulisse del XVII secolo – Gangemi Editore, Roma – 2000.
2 – “Dizionario Biografico Treccani” alla voce: Gemelli Careri, Giovanni Francesco di Piero Doria.