Il vizio delle insane passioni Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sul tema degli abusi sessuali
Le passioni, è banale scriverlo, non sono, non possono essere criterio di verità; al contrario: esse rischiano di far sì che, quant’anche alla verità ci si avvicini comunque, alla stessa non sia lasciato il passo.
Esse costituiscono quello che in etologia potrebbe qualificarsi come “resistenze affettive”.
Sono quei motivi emozionali che anche alle persone coltivate impediscono di staccarsi da depositi culturali stratificati e le condizionano.
Si tratta di prestazioni individuali che, come quella della preservazione della tradizione, hanno in comune secondo Konrad Lorenz “un’unica caratteristica: quella cioè di non essere coscienti e di non essere governate dalla ragione”.
Poco importa se esse costituiscano reazioni a paure incontrollate sepolte nel nostro profondo, se siano da ascriversi al sentimento o al carattere o se siano risposte a esigenze esistenziali.
La superfluità discende anche dal fatto che trattasi di fenomeni riconducibili all’istinto o al carattere con un vettore pilotante inconscio.
E quand’anche siano consci, in quanto passioni, costituiscono spesso un qualcosa che il soggetto cela, anche a se stesso, per la naturale disapprovazione del contesto sociale cui egli appartiene, e nella denegata ipotesi di ipocrita tolleranza, si celano per la posizione in cui il soggetto è collocato, esigendo ex adverso uno sforzo di razionalizzazione avulso dalla realtà civile o religiosa di appartenenza.
Tra questi sentimenti istintivi rientrano sicuramente, nella nostra civiltà, il valore o culto della verginità, da ricollegarsi a principi eugenetici confluiti storicamente nei credi religiosi; la contaminazione incombente sull’autore della deflorazione che non appartenga a una certa gerarchia, riconducibile a popolazioni praticanti l’endogamia; la repulsione per il rapporto incestuoso, ricollegato a un tabù eugenetico preistorico presso popoli esogamici; e in epoca recente, la protezione del bambino, quale effetto dell’istinto immediato di conservazione della specie e di quello mediato di assicurazione della continuità.
I postulati discorsivi che precedono, hanno rilievo quando vengono calati nel mondo del diritto, e precipuamente in quello del “dire la giustizia del caso”, giacché se si intercala l’assunto della passione (Julius von Kirchmann) avvalorandola con la componente irrazionale (Robin George Collingwood), la miscela diviene esplosiva quando si abbia a che fare col momento della pena se ha ragione Franz von Listz, il quale sostenne che “essa non è frutto di una elaborazione concettuale basata sull’idea dello scopo, ma ha fatto il proprio ingresso nella storia della umana civiltà indipendentemente dal sorgere delle passioni”.
La pena riequilibratrice, che non è scoperta dell’ingegno dell’uomo – tant’è vero che la ritroviamo nel mondo animale quale espressione della tendenza autoconservativa – costituisce nella sua accezione primitiva, una azione istintiva, “una reazione cieca, determinata e adeguata soltanto agli istinti e agli impulsi”.
La reazione istintiva insita nella condanna viene nobilitata attraverso la oggettivizzazione della pena, che si raggiunge quando la funzione punitiva passa dalle mani di soggetti parziali, ad organi giudicanti imparziali.
E’ l’imparzialità del giudice e non le condanne massmediatiche a rendere possibile la conoscenza dell’efficacia della pena.
“Il violento deve essere punito, se lo risparmi, lo diventerà ancora di più.” (Libro dei Proverbi, Antico Testamento, V sec. a.e.c.)