In donne veritas Le riflessioni dell’avvocato Cardona sul decostruzionismo giudiziario di bellezza e verità
Il fatto è di quelli per i quali l’immenso George Bernard Shaw avrebbe estrapolato, dal suo cilindro, uno dei suoi infernali aforismi di tagliente tangibilità.
Nel corso di una tormentata vicenda processuale, una Corte d’Assise italica nella definitoria e conclusiva sentenza, in seno alle motivazioni testualmente sermoneggiò: “Inattendibile è la signora X per il sesso, la condizione sociale, l’età avanzata…”.
La testimonianza della signora X era di vitale importanza per una causa di omicidio, ove la donna ebbe ad identificare la vettura dell’omicida come di colore verde laddove il veicolo incriminato era di colore nero, il tutto in un contesto dinamico laddove incrociavansi l’auto della vittima di colore rosso e quella dell’assassino: tutto perfettamente narrato, in una rappresentazione epica dai momenti anche angoscianti, ma chiari e distinti.
Per un tecnicismo processuale e procedimentale, ritenere attendibile la deposizione della testimone oculare, comportava paradossalmente l’esclusione della responsabilità dell’omicida.
L’incredulo avvocato, naturalmente nella contrapposizione dialettica garantita dalle norme e dal pensiero parlante, cercando di ovviare ad una facile ed inane ironia, ricordò le conquiste emancipative delle donne, la giusta ed equa parità raggiunta anche codicisticamente nel passato codice Rocco, con l’apporto di giuristi illuminati che si scagliarono nelle aule dei tribunali e negli auditori universitarie contro l’unilaterale definizione del reato di adulterio.
Il contingente esercizio dialettico del difensore, tendente a motivare la discrasica contraddizione del teste, si arenava sulle spiagge di una ilare retorica cozzante sia con un incipiente e non provato daltonismo senile, che con una retriva e malsana concezione secondo la quale la condizione sociale incide anche sulle capacità percettive.
Ma il dato più perversamente retrogrado nell’interpretazione dei giudici, riguarda il criterio discretivo in ordine alla veridicità fondata sulla distinzione sessuale: le donne possono conoscere e rappresentare il vero?
Il diritto romano lo negava, conseguentemente escludeva la donna nel rendere testimonianza nei processi.
Ciò non mutò con i copisti ed i dottori medioevali che ne rafforzarono la chiusura interpretativa, escludendone addirittura la possibilità delle donne di lambire anche le mura perimetrali ove si rendeva giustizia.
Probabilmente i giudici saranno epigoni del misogino filosofo Otto Weininger laddove asserisce: “La donna ha una seconda natura senza sospettare che non sia la sua genuina, si prende sul serio e crede d’essere e di credere in qualcosa, è convinta della sincerità e originalità del suo contegno morale e del suo giudizio; organica è la mendacità femminile e vorrei anche dire ontologica”.
La motivazione interpretativa della Corte è da considerarsi certamente eccessiva, ma pur sempre compendiabile quale contributo all’aneddotica giudiziaria, la quale trova un avallo letterario in quel cinico e poliedrico scrittore irlandese il quale aforisticamente asserì come “Un orologio fermo dice la verità almeno due volte al giorno: la donna mai”. (George Bernard Shaw)