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TAURIANOVA (RC), DOMENICA 03 NOVEMBRE 2024

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In Italia si licenzia per colpa di Facebook L’azienda “spia” il profilo del dipendente e riesce a licenziarlo. Sì al licenziamento per giusta causa per chi parla male dell’azienda

In Italia si licenzia per colpa di Facebook L’azienda “spia” il profilo del dipendente e riesce a licenziarlo. Sì al licenziamento per giusta causa per chi parla male dell’azienda
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Da domani solo facce cerulee e visi spenti sul luogo di lavoro perché parlare male
dell’azienda su internet può costare il posto. È l’incredibile vicenda processuale
accaduta ad un lavoratore – rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello
dei Diritti” – a portare alla ribalta un tema “carnevalesco” che però
non fa ridere, quello del limite tra scherzo che non va punito e scherzo che integra
addirittura una conseguenza censurabile con la massima sanzione disciplinare: il
licenziamento. La sezione lavoro del tribunale di Milano (giudice Chiara Colosimo)
con l’ordinanza, ha stabilito il principio secondo cui il dipendente che sul social
network posta foto scattate durante l’orario di servizio con commenti offensivi
nei confronti del datore lede l’immagine dell’impresa. Le immagini postate sono
visibili a tutti: gli amici dell’autore delle foto capiscono che le contumelie
sono dirette all’azienda in cui lavora la persona che conoscono. E il contratto
collettivo applicabile prevede l’immediata rescissione del contratto di lavoro
nel caso in cui il lavoratore provoca all’azienda un «grave nocumento morale».
Quindi offensive, e dal tenore inequivocabile, le didascalie delle immagini pubblicate
dal lavoratore, scattate a suo dire durante la pausa caffè, ma comunque quando l’orario
di servizio non era ancora terminato («Ditta di m.»). E il contratto collettivo
applicabile prevede l’immediata rescissione del contratto di lavoro nel caso in
cui il lavoratore provoca all’azienda un «grave nocumento morale». Inutile invocare
la legge Fornero perché è soltanto la tipizzazione dell’illecito favorevole al
lavoratore che vincola prima il datore e poi il giudice: non può allora scattare
la reintegra se la condotta addebitata è punita da Ccnl e codici disciplinari con
sanzione espulsiva e non conservativa. Da oggi la raccomandazione dello “Sportello
dei Diritti” è quella di essere cauti prima di pubblicare sui social frasi
o foto che potrebbero offendere la “reputazione” dell’azienda in cui lavorate.