Omicidio boss Femia, preso il commando. Smantellata cellula clan San Luca a Roma
redazione | Il 08, Gen 2014
I membri del commando che il 24 gennaio 2013 uccisero il boss Vincenzo Femia a Roma sono stati arrestati dalla Squadra Mobile della capitale – ULTIMI AGGIORNAMENTI
Preso il commando che assassinò il boss Femia. Smantellata cellula del clan di San Luca a Roma
I membri del commando che il 24 gennaio 2013 uccisero il boss Vincenzo Femia a Roma sono stati arrestati dalla Squadra Mobile della capitale che in questo modo ha anche disarticolato una cellula di ‘ndrangheta che operava nella città eterna
ROMA – La Squadra Mobile di Roma ha eseguito ieri tre ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal GIP presso il Tribunale di Roma nei confronti dei componenti del commando che la sera del 24 gennaio 2013, in via della Castelluccia di San Paolo, ha assassinato Vincenzo Femia. L’operazione ha permesso anche di smantellare quella che gli inquirenti definiscono “una pericolosa cellula di ‘ndrangheta” che alcuni esponenti originari di San Luca avevano creato nel corso degli anni nella capitale.
Riproponendo i dettami ed i rituali tipici della mafia calabrese – sottolineano gli investigatori – gli arrestati avevano creato un gruppo operativo che, pur mantenendo un legame con la Casa Madre originaria voleva gestire gran parte del fiorente traffico di stupefacenti nella Capitale Il lavoro della Polizia di Stato della Capitale ha consentito di far emergere elementi indiziari tali da poter ragionevolmente ipotizzare che l’omicidio Femia, commesso dai componenti del commando, sia stato commissionato da organizzazioni criminali appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese e sia maturato a seguito di contrasti insorti proprio nella gestione del traffico di droga.
Svolta dopo collaborazione killer. Per polizia movente è stato controllo traffico droga a Roma
Sono state le rivelazioni di uno dei killer di Vincenzo Femia, arrestato lo scorso luglio, ad aiutare la squadra Mobile di Roma nelle indagini che hanno portato oggi all’arresto degli altri tre componenti del commando che a gennaio dello scorso anno uccisero a colpi di pistola il boss della cellula ‘ndranghetista di San Luca nella periferia di Roma. L’uomo, Gianni Cretarola, ha deciso di collaborare con la giustizia subito dopo il suo arresto, a luglio scorso. E’ stato lui ad indicare i nomi degli altri killer ed i luoghi in cui erano state nascoste le pistole usate per l’omicidio di Femia. “Finalmente possiamo mettere la parola fine su questo caso – afferma il capo della Mobile di Roma, Renato Cortese -. Abbiamo ricostruito interamente la dinamica, la modalità ed il movente dell’omicidio. Sullo sfondo c’è il controllo del traffico di droga nella Capitale”. Gli arrestati sono Antonio e Francesco Piazzata e Massimiliano Sestito. I primi due sono finiti in manette a San Luca, paesino del Reggino, mentre Sestino era già in carcere a Viterbo.
Trovato pizzino con giuramento
C’era anche un pizzino con il giuramento dei nuovi adepti alla ‘Ndragheta tra i documenti sequestrati dalla squadra mobile di Roma nell’ambito dell’inchiesta che ha portato oggi all’arresto del commando che a gennaio dello scorso anno uccise Vincenzo Femia, uno dei boss della cellula di San Luca, paesino del Reggino, presente a Roma. Il foglio criptato è stato rinvenuto in una delle abitazioni di Gianni Cretarola, uno dei killer di Femia arrestato lo scorso luglio. Per decifrare il contenuto del documento, gli agenti si sono avvalsi di un codice rinvenuto sempre nella stessa abitazione. “Questa prova è stata fondamentale per risalire all’ambito nel quale si era consumato il delitto”, dice il procuratore aggiunto Michele Prestipino durante la conferenza stampa in Questura, alla quale ha preso parte anche il nuovo questore, Massimo Mazza, ed il capo della Mobile, Renato Cortese.
Killer Femia affiliato bevendo sangue
Rito in carcere Sulmona, codice segreto in casa assassino pentito
“Giura di rispettare le regole sociali; giura di rinnegare madre, padre, fratelli e sorelle; giura di esigere e transigere centesimo per centesimo e millesimo per millesimo; qualsiasi azione farai contro le regole sociali sarà a carico tuo e a discarico della società. Lo giuri?”. E l’aspirante ‘ndranghetista, che si era punto il polso fino a farlo sanguinare, rispose “Lo giuro”. E’ una parte del complesso rituale di affiliazione alla mafia calabrese a cui venne sottoposto Gianni Cretarola, componente del gruppo che uccise un anno fa a Roma il boss Vincenzo Femia – lo attirò sul posto – e collaboratore chiave per risolvere il caso. Oggi la cattura dei tre presunti complici da parte della squadra mobile della capitale. Nell’ordinanza d’arresto il percorso criminale di un ragazzo calabrese nato e cresciuto a Sanremo, che sognava di diventare ‘ndranghetista e ci riuscì. Ma dopo il primo delitto eccellente, in cui pure non sparò, e le manette si pentì e fece arrestare i suoi compari. Nell’abitazione del 31/enne Cretarola a Roma, in via Palmiro Togliatti alla periferia est, fu trovato a luglio un quadernetto con le formule dei cerimoniali ‘ndranghetisti, criptate con un codice, 21 simboli al posto delle lettere dell’alfabeto. L’affiliazione di Cretarola avvenne nel 2008 nel carcere di Sulmona (L’Aquila), dove scontava una condanna per un omicidio commesso durante una lite nel 2001. Sangue che gli avrebbe fatto ‘punteggio’ nei successivi step mafiosi. In seguito Cretarola passò infatti dal rango di ‘picciotto’ alla ‘camorra di sangue’, in soli tre mesi perché aveva già ucciso – ha spiegato -, e nel corso della nuova cerimonia bevve il sangue di un altro ‘ndranghetista, che si era ferito allo scopo un braccio. Quindi passò al terzo livello, quello di ‘sgarrista’. In modo informale in prigione, in attesa di uscire, “perché non si poteva bruciare sul palmo della mano il santino di San Michele Arcangelo”, come prevede il rituale. Gli interrogatori di Cretarola sono un florilegio del linguaggio della ‘Ndrangheta, in questo caso di un ‘locale’, una ‘filiale’ creata a Roma. Alla cui nascita si era opposto Femia, considerato referente nella capitale del clan Nirta di San Luca, in Aspromonte, la ‘mamma’ della mafia calabrese. Gli stessi boss che ne avrebbero decretato la morte. Sullo sfondo, lo scontro per il traffico di droga. Nell’ordinanza d’arresto ci sono le figure che circondano l’aspirante ‘picciotto’ nella cerimonia: il capo società, il contabile, il mastro di giornata, il capo giovane e il puntaiolo, che mette il coltello o il punteruolo su cui il candidato deve ferirsi. Alcuni in quel caso assenti perchè non detenuti e rappresentati con dei fazzoletti annodati. E poi la ‘Ndrangheta, mai chiamata così, per prudenza, specie in carcere, ma ‘pisella’ o ‘pidocchia’ o ‘gramigna’, perché come quella infesta ed é ovunque. E anche i guadagni di un soldato della ‘ndrangheta come Cretarola: due-tremila euro al mese, secondo i periodi e gli ‘affari’. Sempre la droga costata cara a Femia.
Pentito: “A Roma bella vita non come in Calabria”
“Lì regole troppo rigide, vogliamo anche ragazze e discoteca”
“Nessuno vuole rispecchiare la Calabria qui a Roma, perché qui a Roma ognuno si vuole prendere i suoi spazi e vivere in maniera diversa da come vive in Calabria”. E’ la ‘ndrangheta nella capitale secondo Gianni Cretarola, arrestato a luglio scorso per l’omicidio del boss Vincenzo Femia a gennaio 2013 e diventato collaboratore di giustizia. La sua testimonianza ha portato all’arresto di tre presunti complici, tra cui i due uomini che avrebbero sparato a Femia in una strada di campagna di Roma. Una cellula della mafia calabrese in trasferta per controllare il mercato della droga. Il 31/enne Cretarola, di origine calabrese ma nato e cresciuto a Sanremo, spiega l’atteggiamento dei nuovi ‘picciotti’ – lui è stato affiliato in carcere nel 2008 – che hanno creato un ‘locale’, una filiale delle cosche di San Luca nella capitale. E così parla ai pm di Roma del compare Francesco Pizzata, figlio 22/enne del boss Giovanni, che dopo aver sparato a Femia “voleva andare a festeggiare, a mangiare fuori, prostitute e queste cose qua, come un ragazzo di 20 anni vuole fare, no?”. “La costituzione di un locale qui a Roma potrebbe dire anche sottostare alle stesse regole della Calabria, agli stessi diktat della Calabria anche qui a Roma e nessuno lo vuole questo – afferma Cretarola secondo quanto si legge nell’ordinanza d’arresto degli altri tre presunti membri del gruppo omicida -. Cosa che in Calabria invece, oltre le cose migliori che non si può…che ti dovrebbe dare, no? Sei anche costretto a sottostare a un’impostazione molto rigida di vita, proprio di vita quotidiana, qui a Roma invece cerchi di prendere solo quello che di buono (l’appartenenza alla ‘ndrangheta, ndr) ti può dare e fare una vita come un ragazzo normale ha interesse di fare. Quindi discoteca, ragazze e quello che quant’altro un ragazzo vuol fare”.
Polino, è campanello d’allarme. Sostituto procuratore, presenza criminalità merita attenzione
“L’omicidio di Femia rappresenta un segnale importante, un campanello d’allarme sulla presenza della ‘ndrangheta a Roma”. Queste le parole del sostituto procuratore Francesco Polino commentando l’arresto del commando che il 24 gennaio scorso uccise a colpi di pistola il boss della cellula criminale di San Luca, Vincenzo Femia. “Si tratta di uno dei tanti omicidi frequenti nella provincia di Reggio Calabria, dove ho lavorato – spiega Polino -. Bisogna però fare una riflessione sul fatto che sia accaduto a Roma. Dovunque la ‘ndrangheta si stabilizza porta con sé tutto quello di cui è capace, dagli affari illegali all’omicidio, considerato dalla criminalità organizzata sempre l’extrema ratio per evitare di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Questo sta accadendo anche a Roma, e la presenza della ‘ndrangheta merita molta attenzione”.