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Inflitti 6 anni e 4 mesi al pentito Nino Lo Giudice

Inflitti 6 anni e 4 mesi al pentito Nino Lo Giudice

| Il 05, Ott 2012

La sentenza è arrivata con il rito abbreviato per l’uomo che si è autoaccusato delle bombe a Di Landro e Pignatone

Inflitti 6 anni e 4 mesi al pentito Nino Lo Giudice

La sentenza è arrivata con il rito abbreviato per l’uomo che si è autoaccusato di aver ideato la stagione delle bombe contro il procuratore generale Salvatore Di Landro e contro Giuseppe Pignatone, all’epoca capo della procura. L’accusa aveva chiesto per lui solo sei anni

 

 

CATANZARO – Sei anni e quattro mesi di reclusione: questa la condanna inflitta dal gup di Catanzaro al boss pentito Antonino Lo Giudice, capo dell’omonima cosca di Reggio Calabria, che si è autoaccusato di essere l’ideatore della stagione delle bombe del 2010 a Reggio. Lo Giudice, al termine del processo con rito abbreviato, oltre allo sconto di pena previsto dal rito, ha avuto concesse le attenuanti generiche ed i benefici previsti dalla normativa sui collaboratori di giustizia.

Riprenderà invece il 22 ottobre il giudizio immediato che si sta tenendo davanti al tribunale collegiale di Catanzaro a carico degli altri tre imputati nel medesimo procedimento: il boss Luciano Lo Giudice, fratello di Antonino; Antonio Cortese, ritenuto l’armiere della cosca Lo Giudice nonchè uno degli esecutori dell’attentato alla sede degli uffici della Procura generale di Reggio, e Vincenzo Puntorieri, legato a Cortese.

Per Nino il pubblico ministero Salvatore Curcio aveva chiesto la condanna a sei anni di reclusione e mille euro di multa (pena scontata per la scelta del rito abbreviato nonchè per l’applicazione della disciplina relativa ai collaboratori di giustizia). L’uomo aveva svelato, dopo essere passato dalla parte della giustizia, i retroscena degli attentati contro i magistrati in servizio alla Procura di Reggio. A fine 2010, infatti, si era autoaccusato e aveva spiegato di essere stato lui il mandante delle bombe fatte esplodere avanti al portone della Procura generale di Reggio Calabria, contro l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro nonché dell’intimidazione all’ex procuratore ora a capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone. Rivelazioni che permisero di accertare le responsabilità non solo del fratello ma anche di Cortese e Puntorieri.