Innocenti evasioni
redazione | Il 25, Lug 2012
Editoriale del direttore SALVATORE LAZZARO
Detenuto evade dal carcere di Palmi durante l’ora d’aria
Innocenti evasioni
Editoriale del direttore Salvatore Lazzaro
Soltanto in oramai sporadiche vignette si vede l’omino col pigiama a strisce che evade dalla prigione aggrappato alle lenzuola accuratamente annodate.
La gag non fa più ridere nessuno. Troppo stantia, tropo abusata.
La si ritiene una scena non più verosimile perché così come sono strutturate le moderni carceri sarebbe praticamente impossibile una fuga con le lenzuola.
Tutt’al più, esse servono per impiccarsi dentro la cella, ma – Sant’Iddio! – non certo per scappare dal tetro luogo.
Ma mai dire mai.
La classica evasione con lenzuola annodate le une con le altre in modo da formare una resistente fune si è realizzata. E pensate un po’ dove. In un carcere di massima sicurezza. Uno di ultima generazione. Uno che ha ospitato e ospita fior di mammasantissima. E perfino brigatisti di alto rango.
Un luogo che se uno entra è un po’ come aver buttato la chiave: con i suoi piedi non può uscire.
Tuttavia, qualcuno è uscito. Coi propri piedi. E con le proprie mani. Scavalcando due alti muri di recinzione per poi affidarsi alla classica corda di lenzuola tra loro saldamente intrecciate.
E questo non di notte (altrimenti sarebbe stato un volgare “evaso di notte”, come alludeva Totò in Un turco napoletano), ma alle tre di pomeriggio. Durante l’ora d’aria. Col cortile affollato di detenuti deambulanti.
Ci sarebbe da sorprendersi. E forse anche indignarsi, chiedendosi come sia stata possibile una fuga così rocambolesca e così anacronistica. Nell’anno Domini 2012 in un carcere dato come ultra sicuro.
Il sindacato degli agenti penitenziari ha fatto sapere che l’organico è insufficiente. E sicuramente è vero. Ok, allora, mettiamo molti più secondini a sorvegliare i reprobi.
Ma a questo punto, ci sia concesso di fare i complimenti all’evaso, il quale – se davvero ha fatto tutto da solo e se non ha goduto di forti complicità – è riuscito in un’impresa – soprattutto in considerazione della nomea di superfortezza del carcere di Palmi – che lo fa entrare nella leggenda, a fianco del Conte di Montecristo e di Enri Charriere, detto Papillon.
Un’ultima cosa. Non sarebbe male, per prevenire altre obsolete fughe, che i carcerieri controllassero che nei dolci portati dai familiari ai propri cari ristretti in gabbia non ci siano lime o tagliaunghie per segare le sbarre.
E per mangiare diamo loro utensili di plastica del tipo usa e getta, altrimenti ci vuole niente che col cucchiaio di ferro si mettano a scavare tunnel per uscire fuori dal recinto (l’Abate Faria c’era quasi riuscito, peccato che sbagliò mira…).
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