Internet negli uffici pubblici
Giovanni D'agata | Il 05, Giu 2014
Rischia grosso per peculato d’uso il dipendente pubblico che si collega a siti hot a pagamento dal pc dell’ufficio. E’ reato contro l’amministrazione
Internet negli uffici pubblici
Rischia grosso per peculato d’uso il dipendente pubblico che si collega a siti hot a pagamento dal pc dell’ufficio. E’ reato contro l’amministrazione
Commette reato di peculato d’uso il dipendente dell’ente pubblico che durante l’orario
di lavoro si connette ad internet dal pc dell’ufficio a siti hot a pagamento per
fini non istituzionali, anche se con danno insignificante e condotta occasionale.Per
la Corte di cassazione che, con la sentenza 23352 del 4 giugno 2014 della sesta sezione
penale, ha annullato senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, il
dipendente pubblico rischia il carcere per il reato di peculato d’uso per essersi
connesso a siti hot a pagamento. Il caso ha riguardato un collaboratore scolastico
che durante le ore di servizio in sostituzione di un collega, si è appropriato dell’energia
necessaria per realizzare connessioni internet dal pc della scuola per un totale
di 53 accessi a siti a pagamento risultati pornografici per una spesa complessiva
di 660 euro. Il fatto configura reato anche se l’uso di internet per fini non istituzionali
è occasionale e produce un danno insignificante sul piano patrimoniale. La Corte
d’appello di Venezia lo ha condannato a due anni di reclusione e all’interdizione
temporanea dai pubblici uffici. Per gli ermellini sbaglia la difesa ad affermare che
non costituirebbe peculato un comportamento occasionale, produttivo di un danno insignificante
sul piano patrimoniale, avente a oggetto un quid non riconducibile al concetto di
cosa mobile o di energia elettrica, non comprovatamente attinente a un utilizzo della
rete internet per fini non istituzionali (argomento connesso alla dedotta inutilizzabilità
di tutta la documentazione pertinente alle connessioni instaurate). Per questo, i
giudici di Piazza Cavour, sottolinea Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello
dei Diritti”: è errato non considerare il collaboratore scolastico un incaricato
di pubblico servizio. I giudici di Piazza Cavour confermando la sentenza di prime
cure ha sottolineato che in relazione all’abuso di linee e apparecchi telefonici,
l’art. 314 Cp, e dunque nel «peculato d’uso», la norma incriminatrice correttamente
applicabile afferma che «la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato
di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d’ufficio per fini personali al
di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra
il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della
pubblica amministrazione o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità
dell’ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze
economicamente e funzionalmente significative».E ancora, riguardo la qualifica di
incaricato di pubblico servizio, nel momento in cui avrebbe abusato del computer
e della relativa connessione egli rivestiva il ruolo di «bidello» il quale, «accanto
a prestazioni di carattere meramente materiale, che sono la maggioranza, svolge anche
mansioni di vigilanza, sorveglianza degli alunni, guardiania e custodia dei locali,
che non si esauriscono nell’espletamento di un lavoro meramente manuale, ma che,
implicando conoscenza e applicazione delle relative normative scolastiche sia pure
a livello esecutivo, presentano aspetti collaborativi, complementari e integrativi
delle funzioni pubbliche devolute ai capi di istituto e agli insegnanti in materia
di sicurezza, ordine e disciplina all’interno dell’area scolastica. Nei limiti
di queste ultime incombenze, compete ai bidelli la qualifica di incaricati di un
pubblico servizio».