Italia, da che parte stai? Le piazze di Hong Kong e i rapporti con la Cina pongono un tema di prim’ordine a Italia ed UE: quello di una politica estera condivisa
“Dopo che il governo italiano ha firmato il Memorandum Cina-Italia, mi preoccupa profondamente la possibilità che gli italiani possano mettere gli interessi economici e i trattati commerciali con la Cina davanti ai diritti umani”. Così parla Joshua Wong, leader delle proteste di Hong Kong, in un’intervista concessa in questi giorni a TPI. Wong, nelle scorse settimane, era atteso in Italia per prendere parte a degli incontri alla Fondazione Feltrinelli di Milano e al Senato (27 e 28 novembre). A queste conferenze ha potuto partecipare solo in collegamento video: non gli è stato infatti concesso il permesso di espatrio in quanto attualmente sotto processo. È seguito un duro comunicato diffuso dal portavoce dell’Ambasciata cinese in Italia: “Joshua Wong ha distorto la realtà, legittimato la violenza e chiesto l’ingerenza di forze straniere negli affari di Hong Kong. I politici italiani che hanno fatto la videoconferenza con lui hanno tenuto un comportamento irresponsabile”. Le principali forze politiche, insieme ai presidenti di Camera e Senato, hanno espresso sdegno a fronte delle “parole inaccettabili dell’ambasciatore cinese, lesive della libera espressione delle opinioni politiche dei parlamentari italiani”, come le ha definite la presidente Casellati. Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio esprime il suo disappunto, aggiungendo: “I rapporti con il governo cinese sono sempre ottimi”.
È proprio a Di Maio che Wong rivolge principalmente i suoi appelli e i suoi rimproveri, per non aver assunto una posizione decisa a sostegno delle rivendicazione delle piazze di Hong Kong e per strizzare pericolosamente l’occhio a Pechino. In effetti la posizione del M5S nei confronti della Cina sembra essere quanto mai ambigua. Ad alimentare le polemiche sono stati gli incontri, precedenti alla videoconferenza di Wong, del leader storico dei 5S Beppe Grillo con l’ambasciatore cinese Li Junhua e le dichiarazioni dello stesso Grillo sul caso delle persecuzioni cinesi contro la minoranza musulmana degli uiguri nella regione dello Xinijang: “una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese” afferma il comico genovese a fronte di quanto testimoniano i documenti del Partito comunista cinese ottenuti dall’International consortium of investigative jouralists.
Nelle sue dichiarazioni Joshua Wong ammette una particolare preoccupazione per il Memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta siglato a marzo di quest’anno da Cina ed Italia; il documento fu firmato dal presidente del Consiglio durante il primo governo Conte e caldeggiato dai 5S. Il Memorandum, legalmente non vincolante, impegna Italia e Cina a collaborare per la creazione di infrastrutture e accordi che permettano un ampliamento dei canali commerciali fra i due paesi e un incremento massiccio degli investimenti cinesi in Italia, paese-chiave per intensificare l’accesso cinese al Mar Mediterraneo. Il governo di Xi Jinping presenta la Nuova via della seta come un “progetto sistemico per integrare in un disegno comune le singole strategie nazionali di sviluppo, per sfruttare il potenziale dei mercati in Eurasia, per creare domanda e posti di lavoro, e per incoraggiare gli scambi culturali e accademici”. Agli occhi di molti, però, quello cinese sembra piuttosto un tentativo di espandere le proprie aree di influenza, garantendo uno sbocco per mettere a frutto l’abbondante capacità produttiva degli apparati industriali cinesi, molto evidente in settori come quelli dell’acciaio e delle costruzioni. La Cina sembrerebbe, insomma, volersi appropriare del ruolo ricoperto dagli Stati Uniti nell’ultimo secolo, acquisendo sempre maggior centralità nel panorama economico e politico internazionale.
Alla firma del Memorandum alcuni stati europei, fra cui Germania e Francia, e soprattutto gli Stati Uniti manifestarono la loro preoccupazione: gli accordi con la Cina sancirebbero l’ingresso italiano nell’orbita cinese e metterebbero a rischio, in prospettiva, l’autonomia dell’Unione Europea nello scacchiere geopolitico nonché la sua storica alleanza con gli USA; questi ultimi guardano, infatti, con particolare preoccupazione allo sviluppo della potenza cinese, per cui nei prossimi decenni si prospetta una crescita economica vertiginosa.
Indipendentemente dalle conseguenze politiche ed economiche del Memorandum, che secondo il premier Conte non metterebbe in alcun modo in discussione la tradizionale posizione italiana sul piano internazionale, molti commentatori hanno posto un tema di fondo: quello di una politica estera strategica e di ampio respiro. L’ambiguo atteggiamento del governo italiano, che ultimamente soffre di fratture che paiono costitutive, sembra un riflesso di un’ambiguità su più ampia scala: quella che caratterizza la politica estera dell’Unione europea nel suo insieme. Una politica che più che ambigua, secondo molti, è assente ed appare come un tentativo di armonizzare interessi nazionali a breve termine senza alle spalle un progetto comune con cui affrontare le sfide che il secolo presente pone al Vecchio continente: crisi demografica, industriale, politica e poi migrazioni, piani per l’Africa, rapporti con Cina e USA etc. Il Memorandum e le reazioni che l’hanno seguito sembrerebbero testimoniare la solitudine in cui molti paesi UE si ritirano quando si tratta di politica estera: un accordo, potenzialmente ricco di conseguenze, viene siglato con una superpotenza senza che questo sia inserito in alcun progetto comune di posizionamento internazionale. Così un piccolo paese, l’Italia, reagisce con sdegno alle ingerenze dell’ambasciatore della potenza asiatica, ma si trova a non poter fare che proclami privi di conseguenze in favore del popolo di Hong Kong.
L’UE, in queste ambiguità, sembra perdere se stessa, facendo naufragare nella sua incapacità di orientarsi in un progetto politico forte ed unitario gli stessi principi che la ispirano. Devono destare inquietudine, allora, le parole di Wong: “Nonostante le nostre differenze storiche e culturali, crediamo tutti in dei valori condivisi e universali: la libertà e la democrazia”. L’UE, al di là del caso specifico di Hong Kong, non può più rinunciare a occupare una posizione precisa e meditata, la sua posizione: pena una totale marginalità.