“La buona sanità non risiede nell’Asp di Reggio Calabria” La denuncia di Giuseppe Gentile, segretario regionale S.U.L.P.I
La storica disuguaglianza tra le regioni del nord e del sud Italia, ha portato a una continua emigrazione verso il ricco nord, sia per cercare lavoro, sia per trovare un ospedale dove curarsi. Chi invece ha deciso di restare o di ritornare in Calabria e investire sul futuro dei propri figli, oggi si rende conto che l’investimento fatto viene utilizzato altrove dove si trova lavoro da Dirigenti laureati e non da Operari laureati, in quest’ultimo caso quando si è fortunati. Purtroppo il diritto di cittadinanza ha una residenza diversa dalla nostra, per tutti i motivi che si conoscono e si leggono ogni giorno sui giornali. E però, la buona sanità serve come il pane e non sempre riusciamo a raggiungerla per tempo in posti lontani.
Per questo dobbiamo lottare e farla nascere e crescere nei nostri territori. Non bisogna mai dimenticare che, un po’ tutti siamo stati costretti a recarci fuori dalla Calabria per gravi problemi di salute personali o per i nostri familiari. Tutti quanti abbiamo fatto paragoni tra le nostre realtà e quei luoghi, evidenziando vari aspetti positivi, sia in termini di gestione e qualità delle prestazioni, sia per quanto attiene l’aspetto alberghiero, quello funzionale e delle eccellenti prestazioni offerte all’ammalato: regole comportamentali da rispettare sulle quali non esistono deroghe; tutela della persona ammalata attraverso la realizzazione di unità di degenza a misura dell’ammalato da curare; massima attenzione e prevenzione del rischio clinico, ecc.. Insomma soldi spesi bene che hanno elevato il livello della sanità pubblica, l’economia e la cultura di quei luoghi.
Al contrario nelle nostre realtà, sono state spese ingenti somme di denaro pubblico per ristrutturare e mettere in sicurezza piccoli ospedali per essere chiusi, accorpando tutti i reparti negli ospedali più grandi di riferimento territoriale. Per effetto di tali accorpamenti, dettati del legislatore, la Calabria e in particolare la provincia di Reggio Calabria, si sono ritrovati con una carenza di posti letto superiore al 50% di quelli previsti dal Decreto Ministeriale n. 70 del 02/04/2015 che ha stabilito il tetto massimo di 3,7 posti letto per 1.000 abitanti. Il risultato di questo scellerato taglio, ha fatto innalzare il tasso di utilizzo fino a toccare la soglia del 100% e senza alcuna possibilità di farlo scendere con enormi disagi per i cittadini ammalati che non trovano più un posto dove curarsi. Pur tuttavia questa tragedia per l’ammalato, quello grave che arriva in pronto soccorso, non trova risposte in altri ospedali.
A ciò si aggiunge l’aggravante della recente riorganizzazione, fatta dal Commissario per il piano di rientro (vedi chiusura dei reparti delle cliniche private di Villa Elisa e Villa Aurora), dalla quale si è ottenuto il risultato di incrementare la richiesta di ricoveri negli ospedali pubblici nella branca di Ostetricia e Ginecologia, senza pensare all’enorme ingestibile carico di lavoro che sarebbe andato a gravare sul risicato numero di personale Medico, Infermieristico, Ostetrico, O.S.S. e Ausiliario. Tutto questo diventa ingestibile negli ospedali di riferimento territoriale e le sofferenze degli ammalati si stanno trasformando in un pesante fardello da portarsi dietro per chissà quanto tempo: l’urgenza va gestita a prescindere dalla disponibilità o meno del posto letto e il Chirurgo deve intervenire, a prescindere, per salvare una vita umana; il Ginecologo non può tirarsi indietro quando arriva in urgenza una donna con le membrane rotte pronta per partorire; l’Ortopedico deve operare subito la frattura esposta per fermare l’emorragia e salvare l’ammalato. Intanto, le stanze di degenza passano da due a tre posti letto (si butta nel corridoio il tavolo e le sedie); i luoghi del monitoraggio diventano sale parto; le sedie nei corridoi sono occupate dalle mamme che allattano i neonati partoriti il giorno prima sfrattate dal posto letto occupato da una nuova emergenza.
Uno scenario da campo di battaglia in un territorio dove, esercitare la professione Medica, Infermieristica e Ostetrica, richiede un grande continuo stressante impegno, aggravato dalla paura del rischio clinico pronto ad affacciarsi dietro l’angolo per il troppo lavoro. Altra cosa e trovarsi con gli standard ottimali di posti letto, stanze di degenza con due letti e tutti i confort compreso il bagno in camera, salottini per ricevere parenti e non stanze di degenza affollate durante le visite; neonati visibili soltanto attraverso il vetro del nido; orari di visita di solo un’ora al giorno per i parenti e di tutta la giornata per il solo Papà del neonato, fornito dello stesso braccialetto messo al polso del figlio e della Mamma. Ancora oggi si continua addirittura a disattendere le regole basilari dell’igiene e sanificazione delle sale operatorie, perché la gara d’appalto del servizio di pulizie non ha previsto questo intervento se non per 3 ore al mattino (dalle ore 6,00 alle 9,00), con un “ripasso” pomeridiano per tutti i locali dell’ospedale, assegnato a soltanto 2 operai in servizio dalle 15,30 alle 18,30, tutto il resto rimane sporco fino alle 06,00 dell’indomani.
A tutto questo si aggiunge l’aggravante dei trasferimenti di personale dai luoghi dove c’è tanto lavoro verso gli ospedaletti dove l’utenza è tranquilla e si fa quel che si può, rischiando la chiusura delle Unità Operative di Ortopedia e Chirurgia negli unici ospedali di riferimento dell’ASP di Reggio Calabria. In verità bisogna dire che il Ministero della Salute, nell’accordo di programma 2007 per il settore degli investimenti sanitari, ha deliberato e finanziato la costruzione dei nuovi ospedali calabresi, tra questi il nuovo ospedale della Piana per € 66.000.000,00. Sono trascorsi 10 anni d’allora ma, tra beghe politiche e problemi mafiosi delle ditte aggiudicatarie nulla è stato fatto. Oggi l’unico ospedale della Piana, in grado di dare risposte serie senza inquinamenti ambientali, è quello di Polistena ma, si sta facendo di tutto per chiuderlo. E poi dove andrà a curarsi l’ammalato? Questo può saperlo soltanto il Direttore Generale.
IL SEGRETARIO REGIONALE S.U.L.P.I.
Giuseppe Gentile