banner bcc calabria

La cassazione dissequestra 450 milioni di euro ad un indagato

banner bcc calabria

banner bcc calabria

La Suprema Corte di Cassazione con sentenza del 31 Maggio scorso annullava l’ordinanza emessa dal Tribunale di Palmi, nel giudizio di esecuzione nei confronti di F.E., avente ad oggetto il dissequestro di una somma pari ad € 450.000, a suo tempo sottoposta a vincolo ablativo poiché ritenuta di provenienza illecita. F.E. era stato arrestato per armi droga e riciclaggio.
La parte, difesa dagli avv.ti Guido Contestabile e Giovanni Piccolo, aveva interposto gravame a seguito di istanza regolarmente sottoposta al vaglio dell’Autorità Giudiziaria di Palmi, la quale aveva solo parzialmente condiviso le ragioni dissequestrando parte del materiale posto in sequestro, tuttavia, il giudice confermava il vincolo solo per le somme di denaro.
Orbene, quanto rappresentato dalle difese, ed oggi ratificato in sede di legittimità, attiene l’indebita commistione operata dall’AG fra la cosiddetta “confisca allargata” di cui all’art. 240 bis c.p. e quello della confisca diretta di cui al comma 1 dell’art. 240 c.p., posto che, l’imputato aveva riportato condanna anche per il reato di cui all’art. 648 c.p., considerato dalla nuova disciplina fra i “reati spia” nei confronti dei quali, le somme di denaro sarebbero considerate sempre “profitto del reato”.
Il principio di diritto evidenziato innanzi la Suprema Corte (in attesa delle motivazioni) si pone sul solco di copiose decisioni sul punto, vale a dire, la mera detenzione di somme di denaro, anche se di notevoli proporzioni, non può determinare ex sé alcun illecito, specie se non è individuato il reato presupposto di cui sarebbero il profitto ex art. 240 comma 1 c.p.
L’assenza di un nesso di derivazione diretta fra le ipotesi delittuose in contestazione, per le quali l’imputato aveva riportato condanna, rispetto al materiale rinvenimento del denaro, imponeva al giudice di meglio valutare le argomentazioni difensive già proposte, poiché, proprio gli insegnamenti di legittimità evidenziavano come nelle ipotesi ex art. 240 comma 1 c.p., fosse necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle specifiche fattispecie, venisse individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendo necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali.
Nel caso specifico, l’indebita commistione innanzi detta verteva sull’aver utilizzato per un verso gli aspetti indicati per la confisca allargata ex art. 240 bis c.p., per poi concludere che per mantenerne il sequestro poiché esso sarebbe la diretta conseguenza della condanna per il delitto ex art. 648 c.p., come a voler sostenere che il possesso stesso di denaro sia illecito ex sé, quindi inquadrabile fra le ipotesi di confisca obbligatoria, quando nella realtà si trattava chiaramente di ipotesi rientranti fra quelle di confisca facoltativa.
In questa ultima ipotesi, non poteva certamente il giudice dell’esecuzione decidere mantenendo il sequestro del denaro, non essendo possibile in sede esecutiva disporre alcun sequestro di beni rientranti fra le ipotesi di confisca facoltativa, in quanto, in queste ultime ipotesi è obbligatorio che il giudice accerti la sussistenza di un nesso eziologico diretto ed essenziale tra esse ed il fatto di reato, onde valutarne la pericolosità scaturente dalla libera disponibilità delle stesse.
Infine, anche qualora il giudice avesse voluto intendere la detenzione delle somme di denaro quale profitto illecito discendente da altro delitto, la difesa aveva ampiamente documentato la disponibilità lecita della provvista, derivante da attività lavorativa, di conseguenza, la decisione del Tribunale impugnata innanzi la Suprema Corte, sortiva gli esiti dell’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti ai fini del dissequestro delle somme originariamente sottoposte a vincolo.