La criminalità organizzata tra intimidazioni, omicidi e il rischio di assuefazione della comunità
redazione | Il 18, Ago 2012
Breve riflessione del sociologo Mimmo Petullà
La criminalità organizzata tra intimidazioni, omicidi e il rischio di assuefazione della comunità
Breve riflessione del sociologo Mimmo Petullà
I silenzi, che solitamente si registrano immediatamente dopo la consumazione di selvaggi omicidi, sembrano stridere con i fragori di una certa coscientizzazione sulla criminalità organizzata, che da qualche tempo a questa parte sta interessando alcuni paesi della cosiddetta Piana. Lo sviluppo, di tale esperienza critica, appare – nell’intrinsecità della sua natura – senz’altro interessante, dunque da incoraggiare, ma rischierebbe di fare il paio con una sorta di palcoscenizzazione dell’antindrangheta, qualora i suoi effetti dovessero farsi sovrastare dai sinistri echeggiamenti dei colpi di lupara. A ben vedere, questa resistenza – che s’individua, peraltro, nel tentativo di passare dalla mera rappresentazione del fenomeno alla più audace e prassica sistematicità dell’impegno – sembra interessare anche l’esercizio della politica. In questo contesto, sebbene sia possibile cogliere una maggiore attenzione, bisogna ammettere che la problematica continui a essere affrontata nel segno di una più distinguibile episodicità: quando, ad esempio, la collettività lascia percepire un senso di diffusa insicurezza sociale, oppure nel momento in cui avvengono taluni atti minatori, i quali sollecitano – tra non poche ambiguità – prodighe attestazioni di solidarietà. Salvo rarissime eccezioni, la ritrazione – percepibile di fronte all’impatto sociale che, l’efferatezza di certi crimini, dovrebbe invece suscitare – non risparmia nemmeno il complesso e variegato orizzonte dell’associazionismo, essenzialmente defalcato dalle grandi questioni sociali del territorio. Il pericolo, di rimanere impaludati nel regno dei timidi proclami, oltre che in un’eccessiva frammentazione d’appartenenza, non sembra risparmiare neppure la specificità della testimonianza cristiana, non raramente fredda e muta spettatrice, di fronte al triste spettacolo della violenta soppressione della vita umana, quantunque un ebreo – dal nome Gesù – oltre due millenni orsono, non abbia esitato a offrire, salvificamente, la propria. La realtà è che si assiste a una noiosa abitudine all’omicidio, non solo a compierlo, ma finanche a considerare fin troppo prevedibile il fatto di vederlo accadere. Attenzione, però: l’assassinio di un essere umano – chiunque esso sia – per la criminalità organizzata si traduce anche in un banco di prova, che consente di saggiare lo spessore della soglia critica di una determinata comunità.
Mimmo Petullà