La croce di Lucia e il rifiuto di Maria Emanuele Pecheux commenta la vicenda che vede coinvolto Rosario Crocetta, Governatore della Sicilia
Non cambio la mia opinione su Rosario Crocetta, presidente incapace della povera Sicilia.
Il suo problema era e rimane è un uno solo: si chiama Rosario Crocetta.
Tuttavia ritengo che il pasticciaccio brutto dell’intercettazione fantasma rischia di rivelarsi un formidabile assist che può fornirgli il pretesto per consentirgli di restare a Palazzo d’Orleans a fare danni, vestendo i panni della vittima di una più che probabile macchinazione.
I siciliani, se non altro, ora sanno a chi rivolgere i ringraziamenti per il cadeau.
Ad oltre 48 ore dall’anticipazione dell’ Espresso, dopo 2 smentite della Procura della Repubblica di Palermo, una delle quali dello stesso Procuratore capo in persona, infatti si continua a pontificare e a ravanare su una conversazione che nessuno ha sentito.
Salvo il giornalista che l’avrebbe ascoltata e successivamente trascritta.
Spiacente ma non basta.
Perché il giornalista Piero Messina, che, si è appreso, fu licenziato 3 anni fa (motivo?) dall’Ufficio stampa della regione Siciliana, gli piaccia o no, o rende noto quali sono le sue fonti e fa in modo che a questo punto l’opinione pubblica ascolti la registrazione, oppure non è credibile e con lui il presunto scoop del settimanale.
In assenza di un atto che, alla luce delle autorevoli precisazioni della procura, appare doveroso, avrebbe ragione Piero Sansonetti quando nell’editoriale sul Garantista scrive: “il giornalismo italiano è una macchina di sangue e merda che non produce né verità, né conoscenza, né informazione”.
C’è un altro aspetto sgradevole in questa stomachevole vicenda che va sottolineato.
Si è celebrato nel capoluogo siciliano l’anniversario della strage di Via D’ Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.
Nel corso della cerimonia di commemorazione, a sorpresa (?) ha preso la parola il figlio Manfredi, interrompendo una apprezzabile scelta di dignitosa riservatezza che ha contraddistinto i comportamenti suoi e delle sorelle nell’anniversario della tragica fine del padre, il quale parlando della sorella Lucia, ha tra l’altro affermato: “Lucia ha portato la croce fino al 30 giugno scorso, perché amava a dismisura il suo lavoro, voleva davvero una Sanità libera e felice, come diceva lei. E’ rimasta per amore di giustizia, per suo padre, per poter “spalancare” le porte di un assessorato e di una Sanità intera, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare, agli inquirenti, perché nessuna risultanza investigativa generata anche dal suo operato andasse dispersa”.
Portato la croce? Spalancare le porte dell’assessorato agli inquirenti?
Il dott. Manfredi Borsellino ha perso una buona occasione per tacere perché, se è appena vera un’oncia di ciò che ha affermato, viene facile osservare anzitutto che la sorella Lucia accettò di occupare l’ufficio di Assessore regionale alla salute non a seguito di un ordine del medico ma perché glielo chiese due anni e mezzo fa Crocetta.
Se, in seguito, l’assessore Borsellino maturò la convinzione che la sanità siciliana non fosse altro che un centro di malaffare non avrebbe dovuto spalancare un bel nulla ma semplicemente dimettersi subito e denunciare i reati da lei riscontrati alla Magistratura.
Si dimisero per molto meno dall’ improbabile giunta regionale messa su da Crocetta, dopo pochi mesi, gli assessori Battiato e Zichichi, “esterni” come la Borsellino.
Avrebbe potuto farlo anche lei.
Così, al di la delle sin troppo facili chiacchiere a posteriori, dovrebbe funzionare.
Lo scrivo con la consapevolezza che in molti si stracceranno le vesti: personalmente ne ho abbastanza di codesti figli, fratelli, sorelle dei martiri di Cosa nostra che da anni stanno sul proscenio a pontificare sulla legalità, occupando la politica isolana (e non solo) per il solo fatto che portano cognomi di illustri martiri e qualcuno (Crocetta è solo l’ultimo della serie) purtroppo, nella sinistra, ha pensato di fare con loro operazioni di marketing politico, non preoccupandosi se avessero qualche attitudine per gli uffici che andavano ad occupare. L’elenco non è breve.
L’unica, è giusto sottolinearlo, che si è sempre sottratta dal partecipare a codesto penoso teatrino, respingendo garbatamente ma con risolutezza le ripetute offerte a scendere nell’agone politico, è Maria, la sorella di Giovanni Falcone.
Buon sangue non mente.
Emanuele Pecheux