La diffidenza dei requirenti Riflessioni del giurista blogger Giovanni Cardona sulla visione autoritaria della giustizia
A differenza degli ordinamenti e della cultura giuridica inglese, lo stato di inferiorità della difesa nel nostro paese si manifesta in un diffuso modello che involge una variegata pletora culturale che dalla letteratura alla cinematografia, tende ad attribuire un’alea di aristocratica valenza al magistrato requirente, vero ed unico arbitro del bene e del male o del giusto e dell’ingiusto.
La manifestazione di imparzialità e disinteresse dell’accusa non risiede certamente nella facoltà di chiedere l’assoluzione dell’imputato, peraltro, in via teorica esercitata in quei rari casi nei quali il processo non rivesta alcun rilievo nel panorama giudiziario del momento e conseguentemente non determini alcun ritorno d’immagine al narciso requirente.
Per converso, l’avvocato che non va alla ricerca di elementi di accusa o formula contestazioni, non è avvezzo a manifestare delle cromosomiche diffidenze come connaturate al pubblico ministero, il quale con inane lascivia elitaria e aristocrateggiante, non solo non si affatica a cercare prove a difesa ma sovente si ostina in argomentazioni che lapalissianamente smentite dai fatti alligati dalla caparbia intellettuale e tecnica dell’avvocato serio, potrebbero rideterminare le argomentazioni dell’accusa sotto l’egida dello spirito liberatorio e garantista.
Ecco che, contro un dispiegamento di forze preponderante ed imponente dell’accusa la quale dotata di uomini, mezzi e strutture come mai disponibili ad un privato cittadino, la difesa debba essere tenace, preparata, attrezzata e mai subordinata o intimidita perché se così fosse si risolverebbe in una grottesca celebrazione di sacerdoti senza fedeli od in una paradossale commedia brechtiana dell’assurdo.
Il simulacro della difesa, pertanto, deve costituire un baluardo essenziale preteso dalla coscienza del giudicante, dalla credibilità esterna del giudizio e per l’accettabilità della decisione da parte di chi ne subisce le conseguenze.
Ecco perché il difensore, tecnicamente preparato e consapevole del suo ruolo, non deve mai porre sul mercato la sua coscienza ed il suo intelletto per tesi inattendibili ed illogiche.
L’onorario deve costituire il compenso per esemplari verità argomentabili, così come per il pubblico ministero che cerca e discute una contrastante verità logicamente sostenibile.
Certo che, per patologia professionale vi saranno avvocati che per quattro centesimi saranno pronti a sostenere tesi fantagiuridiche, così come pubblici ministeri che per carriera, opportunità politica, pavidità, inane arroganza od altro saranno disponibili a resettare i comandi della propria coscienza.
Ma la cultura inquisitoria prende il sopravvento e dalle testate giornalistiche assetate di scoop si trasferisce alla condotta processuale dell’inquirente, il quale con presunzione coercitiva ed inquisitoriale ad uso di Tomás de Torquemada, pretende di punire senza valutarne le possibili erroneità investigative o la fallacia delle insolenti tesi.
Solo una attenta magistratura giudicante potrà arginare lo strapotere dell’organo inquirente, dispensando giustizia a quei soggetti stritolati in un meccanismo perverso che negli ultimi anni neppure una buona e saggia avvocatura riesce a fermare.