La falsa verità Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sulla menzogna
L’angoscia del vivere sta nel vedere tutta la verità.
La verità non ha un solo aspetto; quanto più è vasta tanto più è ricca di lati: non è mai rettilinea.
Chi riesce ad addentrarsi rimane esitante ninnandosi fra i diversi richiami.
I santi, gli eroi e i dittatori hanno visto un solo aspetto; la convinzione non può sorgere che da qui; il tormento invece sorge dalla dialettica delle visuali.
La falsa verità conduce alla ingiustizia, anche se vi è l’incoercibile tendenza di credere di esserne stati vittime sacrificali dinanzi a tribunali kafkiani.
Presso a poco come il malato immaginario di Jerome K. Jerome, il quale, leggendo libri di medicina, crede di aver contratto tutte le malattie possibili ad eccezione del ginocchio della lavandaia, trovando tutto ciò persino offensivo, finché non si convince di poterne fare a meno, dal momento che ha già “tutte le malattie note in farmacologia”.
Pare che sia un impulso ineludibile quello di fondare, spesso, i propri assunti su costruzioni fantasmagoriche o donchisciottesche, dove la falsa verità riscopre l’essenza della sua inesistenza solo dopo il filtro della indotta ragione.
E penso a quali false verità doveva propendere, ascoltando l’avvocato, quel presidente Lecoigneux, del quale il cardinal Mazarino diceva che era così buon giudice da rodersi di non poter condannare l’uno e l’altro dei contendenti.
Ma non è vero che la falsa verità sia una menzogna.
La falsa verità è un’intimità che nasce da un amore mancato, da un’illusione perduta, da una speranza caduta.
La falsa verità è un’arte e come tutte le arti richiede una innata vocazione.
Occorre anche la preparazione, ossia l’esercizio di rammentare le menzogne profferite, edulcorandole dalla flebile verità manifesta.
Essere veramente falsi è uno sport: un’educazione dello spirito; una diffusa opinione ne compendia il manifestarsi in determinati condizioni di plenitudine.
Nei processi penali il più indignato nel deplorare l’esecutore del delitto è quasi sempre il mandante.
La falsa verità del mandante, lo conduce a manifestare la sua innocenza sottolineando la gravità e l’efferatezza del crimine, del quale lui se ne emenda di responsabilità.
Egisto era falsamente sincero nello scagliarsi contro Clitennestra la quale, nonostante le sue puntuali istruzioni, s’era fatta scoprire nell’uccisione d’Agamennone.
La falsa verità di Egisto ha colpito Clitennestra, la quale gemendo asserisce “Chi mi vi ha spinto or mi rampogna il fallo”.
L’epigono della falsa verità è un archivio ambulante, con un favo di cellette, dove l’acre miele è un composito venefico di fatti, date e notizie sconnesse ma subdolamente utilizzabili a vantaggio della menzogna.
“Dopo aver mentito occorre buona memoria.” (Pierre Corneille, Il bugiardo, 1644)