La “follia del sorriso” nel volto di Padre Pino Puglisi Il ricordo di don Leonardo Manuli nel ventiseiesimo anniversario della morte
di don Leonardo Manuli
“Lo sguardo fisso, un incognito, ignoravano il volto, pochi attimi, in un veloce attraversamento dall’umanità di un sorriso alla disumanità del fuoco della pistola, gli assassini che si allontanavo, e lui stesso a terra con il sorriso in volto”. Mi domando perché tanta violenza, fino ad uccidere, anche con gli sguardi. Alcuni uccidono, senza pietà, e altri, hanno sguardi che fanno cambiare la vita, fedelmente come il folle gesto di Padre Puglisi: «il sorriso ai suoi assassini». Non è tragica ironia, non è facile essere volto, sorriso, che riflette il suo essere che si fa narrazione del prendersi cura degli altri, guardando e osservando con empatia il quartiere di Brancaccio. Il volto diviene accoglienza, prossimità al soffocante grido di aiuto, risposta indifesa alla speranza, quale direzione sensificante per liberarsi da un destino ingiustamente imposto dagli uomini.
Il quartiere Brancaccio divenne un appello per Puglisi, in mezzo ad un popolo ostaggio del clan mafioso e di una mentalità mortifera e distruttiva. Dietro il suo sorriso c’è l’imperativo morale ed evangelico, la consapevolezza di essere situato nella frontiera, tra il bene e il male. I gregari spietati del clan uccidono l’uomo e il prete, esattamente il giorno del suo compleanno (15.09.1993), mentre apriva il portone della casa canonica, accecati dall’odio, e solo dopo saranno fulminati dalla «follia del sorriso» (Cf. V.L. MANULI, La follia del sorriso, Pellegrini 2019).
Non è semplice, in brevi righe, fare sintesi di 3P (Padre Pino Puglisi), una figura carismatica e liberante, un uomo dalle grandi orecchie, umile, innamorato dei più poveri, l’uomo il cui volto si è «fatto sorriso», “resiliente” e “resistente” alla violenza della mafia, “rompiscatole” con i mafiosi, e mai a braccetto con politici. Da Brancaccio è passato innanzitutto un uomo, quello ordinario, che si è fatto volto, sorriso, interpellato a vivere il quotidiano privo di gesti eclatanti, ma alternativi sì, profetici, sovversivi, senza strumentalizzare i poveri, in un territorio dove l’atmosfera e la mentalità erano avvelenati dall’onnipotenza mafiosa. Puglisi proveniva da Brancaccio, era nato e cresciuto qui, conosceva molto bene questa periferia, marchiata e segnata dal sangue, da faide e lutti, fino allo spaccio di droga e dell’usura, in un controllo del territorio asfissiante che non escludeva la parrocchia, la festa patronale di san Gaetano, gestita dalla mafia locale.
Il volto di Puglisi, rifletteva la sua interiorità, non quello di un osservatore distaccato dagli avvenimenti e dalla gente, egli si è fatto attenzione, es-ponendosi, in una fecondità che nasce da dentro: «E se ognuno può fare qualcosa, allora può fare tanto». Il suo insegnamento rimane “pesante” come una roccia e rifulge nel centro Padre nostro, il Padre che è di tutti, e non del parrino, che mortifica e sottomette, chiuso nell’egoismo violento e avido di potere. I mafiosi, la mafiosità, si impauriscono di fronte al volto disarmante e umile di un uomo semplice, e in Puglisi, invece di scorgere un amico, vedono un avversario, un nemico, scegliendo gli idoli del denaro, del potere, del sentirsi onnipotenti.
Il volto, è il presentarsi in maniera indifesa e nuda, – tranne per chi usa le maschere – non è altro che il dispiegarsi di una successione ininterrotta di gesti semplici, alternativi, autentici, senza compromessi e cedimenti davanti alla seduzione del male. Il volto, mostra visibilmente a chi ha il cuore ripulito da ogni malvagità, l’essere e il “saper stare sulla piazza del mondo”, evitando esibizioni, lontano dai riflettori, anche con il “vangelo della buona notizia” in mano, risvegliando le coscienze. Si può interpretare il vissuto di Puglisi, come un “dirottamento”, che scuote la società civile, ogni istituzione, la stessa chiesa, nella «follia del sorriso», dove il primo posto spetta all’uomo, quello concreto. Il suo, continua ad essere un metodo e uno stile da apprendere, non una finzione, ma un insegnamento nella società del “fare” e del “produrre”, dove tutto è questione di sguardi, ingentiliti e senza giudizi, di volti ri-volti, che penetrano nel cuore e non lasciano in pace.