Adulteri, untori e streghe L’evoluzione del senso di giustizia nella riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona
L’adultera, l’untore, la strega, la meretrice, il ladro e l’assassino sono i personaggi più in vista della cronaca giudiziaria di ogni tempo.
Le streghe hanno avuto il loro momento di celebrità, ma oggi ci si può imbattere tutt’al più in qualche fattucchiera, ma bisogna possedere ancora l’ingenuità di alcuni abitanti delle più retrograde contrade per prestar fede a fantomatici sortilegi.
Bisogna risalire nei secoli scorsi per avere certezza di riunioni di streghe (Goethe nel «Faust» ce ne dà conferma) allorché sia la credenza popolare sia alcuni eccelsi teologi, tra cui S. Agostino, ritennero che le streghe avessero un’origine demoniaca e potessero ispirare una tale potenza malefica da sottomettere altri alla propria volontà. Ebbero perciò luogo, specie nel sec. XV, numerosi processi che si conclusero con la condanna a morte di molte migliaia di imputate: l’ultima, di cui si ha storicamente notizia, ebbe luogo in Polonia, nella città di Poznan. Certo che nell’arco dei secoli compresi tra il 1300 e il 1700, i processi alle streghe si susseguirono, un po’ dovunque in tutta l’Europa, con incalzante ferocia, al punto che il numero dei giustiziati superò la cifra di un milione.
Non parliamo poi della categoria degli «untori» che sotto il profilo lessicografico vennero fuori in un’epoca ben circoscritta e si trattò di un fenomeno delittuoso agganciato alla peste di Milano del sec. XVIII; gli untori erano accusati di propagare, ungendo appunto le porte delle case di sostanze venefiche, il contagio a tutta la città. Ne parlo il Manzoni, oltre che nei «Promessi Sposi» anche e soprattutto nella «Storia della colonna infame» innalzata nel posto dove trovavasi la casa di un barbiere che, in fama di untore, venne giustiziato a furor di popolo.
A voler sottilizzare anche le figure dell’adultera e della prostituta hanno perduto lo «smalto» che hanno indubbiamente avuto in determinati periodi della storia dell’umanità.
Eppure, nella antichità, se è vero che in Grecia o in India l’adulterio era severamente punito (nell’antica Babilonia il marito aveva la facoltà di uccidere la moglie e l’amante sorpresi in flagrante) e altrettanto vero che esisteva anche l’istituto del ripudio (che era poi una specie di separazione coniugale, sia pure con un marchio di infamia per la donna).
Invero, con la nascita del diritto moderno si ha la sostituzione alla giustizia popolare con un sistema di tranquillità, indispensabile in una società civile.
In tal guisa alla famigerata «legge del taglione» che è stata per secoli la «regina delle leggi» – del resto basti pensare al codice di Hammurabi «se alcuno rompe un osso a un altro, si rompa un osso a lui», alla Bibbia «occhio per occhio, dente per dente», al Corano «Libero per libero, schiavo per schiavo» – subentra, poco per volta, il diritto alla difesa dell’imputato e alla instaurazione delle varie magistrature.
In tal guisa per gli ebrei ogni causa, di qualsiasi specie, rientrava nella competenza del Sinedrio, gli egiziani sono i primi a distinguere i tribunali civili da quelli penali, presso i Persiani imperava la figura dell’arbitro, in Cina dominava, indiscusso, il capofamiglia e per gli anziani la giustizia aveva un carattere religioso quindi purificatore.
Di pari passo cominciava a delinearsi una certa «varietà» nella applicazione delle pene.
Già nell’antica Roma si andava dalla «decapitatio» al lancio dalla Rupe Tarpea, dai combattimenti nel circo alla pena del culleus (specie di sacco dei cuoio con vipera) sino alla terribile dichiarazione di «infamia».
Poi c’è la pena di morte la cui origine si perde nella notte dei tempi: i Persiani l’infliggevano ai traditori, ai sodomiti agli untori e a molte altre categorie di imputati, tra cui anche chi si fosse azzardato ad aver rapporti con la concubina del re; i Visigoti punivano con la morte il mandante di un omicidio e non il killer e l’untore, mentre i Vichinghi la persona che avesse procurato i mezzi per abortire o unto il villaggio; i Saraceni, ligi tra l’altro alle pratiche religiose, mandavano a morte gli untori o chi in un giorno di festa avesse ucciso una persona che si recava in chiesa, mentre Carlo Magno puniva con pene rateizzate non solo il furto ma anche chi era sospettato di diffondere il contagio, nel senso che la prima volta al reo veniva cavato un occhio, la seconda gli veniva asportato un orecchio e la terza volta, ritenuto recidivo irrecuperabile, condannato a morte.
Con l’andar del tempo e con lo sviluppo delle varie teorie sul diritto, le leggi hanno preso il sopravvento e oggi la magistratura è la portatrice della più grande funzione garantistica contro i soprusi di chi osi trasgredire le leggi stesse.
Ma è vero rimedio?