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La lanterna di Diogene

La lanterna di Diogene

| Il 22, Giu 2012

Fabrizio e Simona tra “amore” e “conoscenza”

a cura di GIUSEPPE LAROSA

La lanterna di Diogene

Fabrizio e Simona tra “amore” e “conoscenza”

 

a cura di Giuseppe Larosa

 

 

L’amore è un “sentimento erroneo”, così diceva Marcel Proust, ma gli errori fanno parte di questo grande mistero della vita così come le passioni e le speranze di un sorriso al tramonto che duri fino all’alba. Simona Napoli, figli del latitante detto “u tuccu”, Antonio Napoli, si sfoga in una lettera a Calabria Ora e lo fa con una passione sbiadita, come se volesse prendere le distanze da quel sentimento che l’ha legata al povero Fabrizio Pioli, cui il corpo ancora non si trova. Simona scrive «Un grande errore, quello di iniziare la conoscenza con Fabrizio, non perché non gli volessi bene, ma visto ora, dopo tutto quello che è successo, dove siamo arrivati. Lui a perdere la vita, e io ad avere una morte lente (…)», due passaggi che hanno un sapore della rassegnazione e del pentimento “conoscenza” e “non perché non gli volessi bene”. In quella lettera lei è in un rapporto conflittuale tra quello che ha fatto e quello che non voleva fare, come se tutta la storia si è basata sulle insistenze di Fabrizio perché quello innamorato era lui, così lo descrive Simona in un altro passaggio specie quando dice «(…) lui era innamorato perso, non vedeva e non sentiva ragioni quando gli dicevo “io non sono la donna per te, sono confusa, finiamola, lasciami in pace”», non era Simona ad insistere o ad essere innamorata, l’amore era quello di Fabrizio perché per Simona era solo una conoscenza ed un volersi bene, “un’amicizia come quelle che tante persone fanno su facebook”, ed ancora, “ero fragile e confusa”. Simona parla come se ad un certo punto fosse costretta a causa della sua fragilità a iniziare quella conoscenza che ha portato all’evento tragico noto alle cronache, mentre tutti i principali organi di Stampa parlavano di “amore”, di “delitto passionale” contrastato da un boss della ‘ndrangheta per il disonore che la figlia gli ha procurato alla sua famiglia, lei tra le righe disperate di una lettera addossa tutta la responsabilità di quella storia al povero Fabrizio, era lui il vero innamorato che come ogni uomo che vive di passioni non bada ad ostacoli, ed addirittura arriva finanche alla tana del lupo per quell’amore, ed proprio in quel giorno, forse l’ultimo giorno di vita di Fabrizio in “quel suo gesto di impulsività”.

Nessuno vuole fare il moralista né tantomeno condannare Simona Napoli, ma semplicemente aprire uno scorcio di riflessione di umile ambizione, né essere moralisti dell’ultim’ora perché come ci insegnava Russell, «I moralisti sono persone che rinunciano ad ogni piacere eccetto quello di immischiarsi nei piaceri altrui», no, cerco solo di capire una tragedia che ha distrutto due famiglie anzi tre, quella di Fabrizio, dei genitori di Simona e quella di Simona stessa.

Simona voleva solo essere capita, e la “famiglia non capiva quel malessere interiore”, ma Fabrizio si è trovato dentro a quel malessere e ci è rimasto per sempre, incastrato in un meccanismo più grande di lui, ci ha lasciato la pelle. Fabrizio era solo colpevole di amare mentre altri erano spettatori di questo sentimento che al momento opportuno si sono rivelati i suoi presunti assassini.

Io come Ortega preferisco riflettere e non giudicare perché è “considerevolmente laborioso”, ed invito a tanti a fare queste riflessioni specie su questa lettera, senza giudicare Simona per quello che ha fatto, ma per quello che scrive nelle sue due lettere, e capire quali reali sentimenti hanno legato questa ragazza di 24 anni ad un giovane ragazzo di 38 anni, se amore o conoscenza e se lei poteva salvarlo questo ragazzo magari non aspettando di arrivare alla caserma di Gioiosa Jonica, ma chiamare un semplice “113” e raccontare quello che aveva visto. Simona non deve essere giudicata perché “arrigugghiu”, deve essere capita perché ha iniziato questa sua “conoscenza” con l’amore di Fabrizio.

Simona Napoli afferma «Io sono morta il 23 di febbraio, sono una morta che cammina perché, prima o poi il coraggio in Calabria si paga con il sangue», qualcuno però quel giorno è morto per davvero ed aveva solo una colpa che non era una “conoscenza”, si chiamava Amore.

lalanternadidiogene@approdonews.it