La lanterna di Diogene
Giuseppe Larosa | Il 01, Apr 2011
Il tema della giustizia e delle carriere politiche intraprese da ex magistrati è quello affrontato dal nostro filosofo
La lanterna di Diogene
Il tema della giustizia e delle carriere politiche intraprese da ex magistrati è quello affrontato dal nostro filosofo
Dopo aver dedicato questa rubrica a beghe propagandistiche di natura politica prettamente paesana, e dopo che per l’ennesima volta il risultato è stato quello immaginato (un buco nell’acqua da parte di tutti i partiti), dove qualcuno si è ritirato, conscio sicuramente dei propri limiti ed altri fanno accordi surreali che solo a sentirli viene l’orticaria, cambiamo per un attimo rotta di tendenza affrontando un tema di estrema importanza quale è quello giudiziario, accompagnato da frequenti carriere politiche. Vizio unicamente italiano. Ed è per questo che desidero parlare di un particolare caso, nato nel 2007 presso la procura di Catanzaro, in cui l’epilogo recita “insussistenza dei reati contestati” e “mancanza degli estremi di reato”. Mi riferisco all’inchiesta battezzata “Toghe lucane”, istruita dall’allora pubblico ministero Luigi de Magistris (attuale eurodeputato di Italia dei Valori dell’altro ex PM Di Pietro).
I numeri. Trenta proscioglimenti su trenta, quasi 24 capi di imputazione molto gravi che andavano dalla corruzione in atti giudiziari fino all’associazione a delinquere. Quattro anni di indagini giudiziarie, carriere interrotte, vertici giudiziari decapitati e molti magistrati ed ufficiali trasferiti, oltre al coinvolgimento di molti alti dirigenti dello Stato e così via. Tutti prosciolti.
Si parla spesso in questi giorni di riforma della giustizia evocando oltre alle tante modifiche anche la “responsabilità civile del magistrato” che già nel 1987 fu oggetto di un referendum popolare che poi si affossò in Parlamento. I radicali ed i socialisti affrontarono una battaglia importante per l’affermazione di una responsabilità che dovrebbe essere un obbligo civile, morale ed anche sanzionatorio: chi sbaglia deve inesorabilmente pagare sia esso un medico, sia esso un magistrato, sia esso qualsiasi altro professionista.
Anche se il codice penale vigente ha degli articolati che punirebbe il magistrato inadempiente o che non fa bene il proprio mestiere, ma a mio avviso ciò non basta. Molti errori sono stati causati da negligenze, superficialità e a volte anche mancanza di parsimonia nell’accertare delle verità penalizzati anche dalla fretta di cercare il colpevole a tutti i costi e sbatterlo in galera.
Non credo siano eresie quello che si sta scrivendo, ma credo che una buona cultura della consapevolezza, delle responsabilità insieme alla condizione di sapere che se si sbaglia si paga, molte leggerezze (qualora ci dovessero essere), sarebbero al vaglio della coscienza e della ragione prima ancora che dell’applicazione stessa della legge.
Si eviterebbe una spettacolarizzazione della giustizia così come è accaduto negli ultimi venti anni, favorendo così carriere facili di magistrati in campo politico. Vedi Di Pietro fino a de Magistris che all’epoca era considerato una vittima sacrificale, dove ci fu persino una raccolta firme a sua difesa per la persecuzione che diceva di avere nelle varie indagini giudiziarie che come pubblico ministero istruiva, da “Poseidone” a “Why not”, in cui molti proscioglimenti come tanti insussistenza di prove. Negli anni tutto si è smontato, pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone, facendo restare solo dei rimasugli di pendenze che ancora devono trovare la loro fine. Ma intanto un’inchiesta famosa dove furono rovinate anche carriere e molto altro ancora, si rivela una bolla di sapone racchiusa in una sola frase “insussistenza”. Ed intanto, qualche magistrato antimafia ha dovuto abbandonare il proprio posto come Felicia Genovese, la cui vita e quella del marito Michele Cannizzaro, direttore brillantissimo dell’ospedale San Carlo a Potenza, è stata stravolta. La dottoressa Genovese conduceva importanti e delicate inchieste contro la criminalità organizzata ed in cui si è vista forzatamente trasferita a Roma, mentre il marito svolge solo attività di libero professionista benché fosse considerato uno dei migliori direttori generali della Basilicata.
Alla fine qualcosa in tal direzione dovrebbe pur muoversi, ma se tale direzione è quella di questi ultimi anni c’è poco da stare freschi perché ad ogni contrasto giudiziario finito male (o archiviato) per errore o altro, ci sarà sempre un nuovo giudice che scenderà in politica. Solo facendo una legge apposita che impedirebbe a quest’ultimi carriere politiche per legge, forse e dico forse, tante cose si potrebbero evitare con meno difficoltà.
Ps. ripeto per l’ennesima volta, chi deve dire qualcosa lo faccia pubblicamente su questo sito e non tramite messaggi o altro su social network o altri generi, tipo angoli di ville, bar e stazioni. E dica anche quale è il “marciume” che ho attorno. Il resto sono solo chiacchiere e basta.
lalanternadidiogene@approdonews.it
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