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TAURIANOVA (RC), LUNEDì 25 NOVEMBRE 2024

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La lanterna di Diogene

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| Il 07, Set 2011

Magistratura reggina: arsenico e vecchi merletti?

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Magistratura reggina: arsenico e vecchi merletti?

 

C’è una citazione di J. F. Kennedy che Giovanni Falcone amava ricordare ed era: «Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana»; e sulla moralità umana potremmo scrivere una miriade di parole, di frasi e di citazioni.

Ma questa volta oltre alla moralità c’è di mezzo una sospetta “stagione dei veleni” che si annida tra le procure di molte città, ma in una in particolare si respira odore di zolfo che brucia finanche le narici. È quella di Reggio Calabria, nella Direzione Nazionale Antimafia. Giudici contro giudici, come in una partita di calcio, dentro un campo dove con ansia si attende il vincitore della partita, mentre ogni tifoso prende le redini e fa l’incitamento per la propria squadra del cuore.

Normalmente i tifosi sono i vari giornalisti, quelli schierati pro-magistratura (ma che con “faccia tosta” si proclamano imparziali), e quelli garantisti, che vogliono solo sapere “senza se e senza ma”. Questi ultimi alla fine sono quelli più attendibili nella maggior parte dei casi. Ed è proprio di questa analogia che tempo fa in un famoso editoriale del direttore di CO Piero Sansonetti, parlava di giornalismo “non libero in Calabria”. Oggi quello che è stato scritto sta avendo il suo culmine e la sua storia più che mai compiuta ed acclarata con uno scambio di querele che vista la posizione di un “Potere” sempre più intoccabile, diviene motivo di dibattito e si spera di chiarezza come anche di verità. In uno stato democratico nessun potere è intoccabile, né tantomeno non criticabile.

I protagonisti sono uomini dello Stato, magistrati in prima linea contro la lotta alla criminalità organizzata, nomi altisonanti come il procuratore capo Giuseppe Pignatone, il numero due dell’antimafia nazionale, Alberto Cisterna, l’attuale procuratore della Corte d’appello di Ancona, Vincenzo Macrì ed in ordine di eventi accaduti, c’è infine il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Michele Prestipino.

I fatti. I “veleni” iniziano con l’arresto di un capitano dei carabinieri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa che scrive ai pubblici ministeri di Santa Maria Capua Vetere, accusando due agenti di averlo avvicinato in cella per un colloquio. Perfetto. Ma il discorso cambia quando il Capitano Tracuzzi, così il suo nome, dichiara di aver subìto pressioni per accusare Alberto Cisterna, numero due della Superprocura nazionale. Episodio ancora non chiarito, visto che lo stesso Pignatone si è rifiutato di dare conto ai giornalisti e visto pure che nessuno si è interessato alla cosa, Csm compreso. Perché? Il fatto sarebbe gravissimo se solo si pensasse che una questione così delicata non trovasse riscontro oggettivo e si lasciasse così in aria ad aleggiare per essere motivo di discussione e di dissapori oltre a far addossare terribili ombre in una Procura impegnata in prima linea contro la ‘ndrangheta.

Ma la storia non finisce qui. Perché il procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria, Alberto Prestipino, uomo molto vicino a Pignatone, dichiara una cosa sconcertante, ossia che nel corso di una cena a Milano, Prestipino avrebbe parlato di una “cricca” di magistrati capeggiati da Macrì e Cisterna, che avrebbe favorito il dominio della ’ndrangheta nel territorio calabrese. E da lì la querela nei suoi confronti dei due magistrati.

Il direttore di Calabria Ora Sansonetti, sta facendo una sorta di battaglia personale per rendere chiare le cose, prendendosi contro di tutto, dai vari “cultori” dell’antimafia, ossia quei giornalisti, associazioni affini alla magistratura con un unico “credo”, quello che i magistrati non si toccano né sono criticabili, purtroppo di questi personaggi che operano in questi mondi la lista è molto corposa (e preoccupante). Perché non fanno altro che porre in secondo piano la parola “responsabilità civile”, che deve essere estesa a tutti i poteri nessuno escluso.

Non si può essere definiti come non è accettabile che chi è garantista deve avere addosso apposta l’appellativo di (pseudo) colletto bianco, come una sorta di esercito che va contro i magistrati. C’è un regime di garanzia e di democrazia che dovrebbe essere rispettato da tutti per amore della verità e principalmente dai magistrati stessi, cui basterebbe pochissimo per dimostrare che non sono vere molte cose che vengono scritte sui giornali. Ed il tutto in barba a tutti quei giornalisti “accoliti” che dicono che se parla la magistratura tutto è giusto e sacrosanto, ma se parla la politica o qualche altro potere tutto è sbagliato e criticabile. Parlo di quella schiera di elaboratori di notizie, così come di associazioni, che hanno delle teorie pericolose che se tu dovessi comprare una mandorla da un’azienda in odor di mafia e da quella mandorla nasce un bicchiere di latte di mandorla, chi lo beve è un mafioso.

Sì, è vero in Calabria non siamo ancora liberi, e di strada da fare ancora ce n’è.

Ps. Vorrei solo chiarire per l’ennesima volta che questa rubrica, per chi ha magari dei “limiti di comprensione” o per chi magari vive “ tra i pascoli”, è firmata dalla redazione, che ne risponde per ogni cosa. E poi, diciamocela tutta, l’autore della rubrica è arcinoto, solo chi ha seri limiti e vive tra i pascoli e le montagne è ignaro di tutto quanto. Ossequi.

lalanternadidiogene@approdonews.it