La lanterna di Diogene
Giuseppe Larosa | Il 05, Dic 2011
La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini. Il popolo cornuto era e cornuto resta
La lanterna di Diogene
La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini. Il popolo cornuto era e cornuto resta
L’inchiesta che recentemente ha portato all’arresto dieci persone accusate di avere presunti, legami (e mi preme sottolineare il termine “presunti legami” con la ‘ndrangheta ci riporta ad uno stadio di un grande campanello d’allarme per la sicurezza e la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato; aprendo uno spiraglio preoccupante, accompagnato da un interrogativo macabro: chi è che ci protegge in questo Paese e ci rende sicuri, quando pezzi della magistratura e delle forze dell’ordine sono anch’esse corrotte?
Nietzsche affermava che «Tutta la vita umana è profondamente immersa nella non verità», ed è proprio la non verità che ci porta ad una riflessione seria nata dalle affermazioni scioccanti di Ilda Boccassini “Ildala Rossa”, della “finta antimafia” ossia su “L’antimafia in Calabria non esiste: è solo un’occasione per fare carriera”. Facendoci fare un notevole passo indietro “riesumando” Leonardo Sciascia e i suoi “professionisti dell’antimafia”.
Ma ciò non riguarda solo i pezzi dello Stato come Magistrati, Forze dell’ordine, politici ma anche alcuni seguaci di associazioni che qualcuno su un giornale locale li ha definiti “piazzaioli”, come quelli di Libera e dove alcuni tra questi, coinvolti nell’inchiesta della Boccassini, facevano parte e partecipavano alle iniziative di tale associazione. Ma non è il tema predominante di questa riflessione né si vorrebbe delegittimare l’associazione stessa, ma semplicemente asserire che non è tutta antimafia “quel che luccica”. Che è vero che molti sfruttano il significato di questa parola per fini personali e fare carriera così come ha affermato Ildala Rossa.Ese lo dice lei bisogna crederci per tanti motivi uno tra tutti la sua storia e la sua carriera alla ricerca della verità, della giustizia (quella giusta) e della conoscenza “ultralegalitaria”.
Tra le già categorie citate e messe sempre al centro dell’attenzione non bisogna, e se lo si fa si farebbe un errore madornale, escludere i cosiddetti giornalisti dell’antimafia, quelli che vedono mafia ovunque, che ci godono quando scrivono le sventure di un paese, di una comunità , di un’inchiesta che vengono coinvolti persone che a volte c’entrano ed altre volte invece escono innocenti e con le ossa rotte. Quei giornalisti che fanno copia ed incolla dei rapporti giudiziari erigendosi ad eroi della verità, gente pericolosa che a volte viene il sospetto che loro stessi si “autominacciano” con tagli di pneumatici dello loro autovetteure, taniche di benzina e quanto altro per apparire davanti al contesto collettivo delle vittime, oscurando chi fa il loro stesso lavoro e le minacce li subisce veramente per le inchieste scottanti ed a volte come è capitato negli anni passati ci ha lasciato anche la pelle in mezzo ad una strada colpiti dalla ferocia mafiosa.
Da queste pagine si è aperto sempre questo dibattito ma mai nessuno ha accolto il significato stesso dell’essenza dei perchè; siamo sempre snobbati perché il giusto è da un’altra parte ossia da chi ama questa cultura del vittimismo a prescindere. Ma adesso, si spera, dopo le parole della Boccassini si è capito che l’antimafia è diventato un termine sbiadito, senza colore né anima né passione dove fanno parte un gruppo di persone in cerca di carriera, di una collocazione per fini personali oltre a quelli che con la ‘ndrangheta fanno gli affari per se e per i propri congiunti.
C’è un’antimafia che deve essere riqualificata e riveduta correttamente, a partire dalle indicazioni politiche per una pulizia dei partiti e della loro classe dirigente. Sia che una parte sta al potere o che sa all’opposizione. Disarmante ed imbarazzante è stato il silenzio dell’opposizione in seno al consiglio regionale della Calabria all’indomani dell’arresto del consigliere Morelli e ancora prima di Zappalà. Un consiglio regionale giovane retto da un governatore altrettanto giovane che ha avuto già due arresti per collusione con le cosce della ‘ndrangheta insieme ad altri sospetti di altrettanti consiglieri regionali che hanno preso voti dalle cosche mafiose. Regna un silenzio assordante che non coincide con la democrazia e la libertà di un Paese; non coincide con lo sviluppo e quindi la ripartenza di una Regione sempre più in preda alle consorterie mafiose.
Sono d’accordo con le parole del direttore Sansonetti quando scrive che “La mafia ha paura di una sola cosa: di una grande riforma che spezzi i rapporti padronali, lobbistici, medievali che regolano la vita di questa regione. Ha paura di un ritorno dello Stato e della politica. Per ora, sembra, può dormire sonno tranquilli…”. Chi ci sveglierà?