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La lanterna di Diogene

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| Il 07, Dic 2011

Gli Accoliti. I “coglioni” alla corte del Re

La lanterna di Diogene

Gli Accoliti. I “coglioni” alla corte del Re

 

 

Tempo fa lessi un libro di Miguel de Unamuno dal titolo “Del sentimento tragico della vita”, e in esso c’era contenuta una frase che recitava, «L’uomo, per il semplice fatto di essere uomo, di aver coscienza di sé, è, in confronto all’asino o al granchio, un animale malato. La coscienza è malattia».

Il tema predominante è la malattia della coscienza ovvero di tutte quelle coscienze che hanno in se una falla profonda che insidia e contagia il vivere sociale, tra questi ci sono i finti moralisti e gli “Accoliti”. Per i primi la cura sarebbe ignorarli, o meglio, basterebbe fargli notare che non occorre mai guardare la pagliuzza che sta negli occhi degli altri ma il fuscello che sta dentro i loro occhi, che li annebbia e li fa divenire ciechi anche delle loro stesse condizioni. Per i secondi il discorso sarebbe più lungo ed articolato ed alquanto molto complesso, perché sconfina nella patologia stessa della coscienza reale.

Il XX secolo ci ha regalato esempi importanti in merito alla “massa” di accoliti che si affollavano prima sotto un balcone nella capitale nei pressi di piazza Venezia, dove un tipo pelato con aria saccente e arrogante amava definirsi “imperatore”, questo mondo ci ha regalato molti surrogati napoleonici, ma è la vita stessa ad essere un surrogato di se stessa e che alla fine ci ritroviamo coinvolti a cuocere in quel brodo ed affogare.

Negli anni gli stessi, saltavano da una piazza all’altra per rinnegare ciò che avevano lodato pochi istanti prima, e riversarsi su quella che veniva definita la “balena bianca”, sempre gli stessi accoliti, sempre con la stessa foga e con le stesse lodi di folle pervasi dalla menopausa femminile associata anche a condizione andrologiche di infiniti disagi sociali, appunto delle coscienze degli accoliti.

Man mano che la storia è andata avanti gli Accoliti si sono decentrati formando una sorta di federalismo locale costituendo una setta appunto definita la “setta degli accoliti”. E li troviamo in ogni realtà locale, dalla più grande alla più piccola realtà amministrativa, sia essa una Regione, una Provincia ed un Comune.

Loro non sono come i Lacchè, no, loro sono più di un semplice lacchè perché hanno in se la vita frustrata di un complesso di inferiorità che li spinge a cercare rifugio dal “potente” di turno, sia esso un Presidente e perché no, anzi principalmente un Sindaco di una città.

Ed è proprio in quest’ultimo che molti hanno risposto e ripongono le sorti del proprio futuro, ed ecco che rientra dalla porta principale il famoso “fuscello” nell’occhio, ossia che tutto vedono, osservano e criticano tranne che la realtà dei fatti. Li vedi girovagare come vagabondi in cerca di autore per dire quello che il loro Sultano (sindaco) gli impartisce, in cambio magari di un sussidio, un posto di lavoro e/o un’elemosina da portare a casa, ed una volta ottenuta restano fedeli senza critica e senza vergogna. Nemmeno per le proprie coscienze, in quanto come abbiamo detto, sono malate.

Ma quello che gli accoliti non sanno è che il domani porta sempre delle sorprese e talvolta sono anche amare, bocconi velenosi che rientrano come boomerang impetuosi senza pietà.

Purtroppo isolare questa setta è la stessa impresa ardua che Charles de Gaulle asserì per i coglioni, però si potrebbe fare già qualcosa nell’isolarli e costituire riserve per loro come quelli degli indiani d’America, con la differenza che nel caso degli accoliti occorre lasciarli marcire nella loro stessa vergogna.

Il moralismo degli accoliti è malato così come la loro coscienza, perché se una persona riceve in dono un posto di lavoro tramite dei concorsi truccati e poi ne fa vanto di questo, e durante la sua carriera brama moralismi e appellativi che non coincidono con la vergogna in essere, c’è qualcosa che non va in se così come c’è anche qualcosa che non va in chi, oltre ad aver usufruito un posto di lavoro o qualche altro emolumento di favore, passa da una condizione politica ad un’altra così come un punto geografico variabile, allora il segno stesso della vergogna riempie la condizione stessa di un contesto diverso e incline al vagabondaggio sociale, umiliando e contagiando anche chi gli sta vicino. Occorre quindi, estirpare la gramigna dalla radice per non farla crescere mai più.

lalanternadidiogene@approdonews.it