La legge elettorale che divenne “porcata” per un diktat del Colle
redazione | Il 02, Set 2010
Appena si ritorna a parlare di legge elettorale, sull’onda di un nuovo appello bipartisan per l’uninominale pubblicato sabato dal Corriere della Sera, all’interno del Pd affiorano profonde differenze tra quanti, come Massimo D’Alema, prediligono il sistema tedesco; quanti, come i veltroniani, sostengono l’introduzione dei collegi uninominali e delle primarie per legge; e quanti si accontenterebbero invece del ritorno al cosiddetto “Mattarellum”,
La legge elettorale che divenne “porcata” per un diktat del Colle
Appena si ritorna a parlare di legge elettorale, sull’onda di un nuovo appello bipartisan per l’uninominale pubblicato sabato dal Corriere della Sera, all’interno del Pd affiorano profonde differenze tra quanti, come Massimo D’Alema, prediligono il sistema tedesco; quanti, come i veltroniani, sostengono l’introduzione dei collegi uninominali e delle primarie per legge; e quanti si accontenterebbero invece del ritorno al cosiddetto “Mattarellum”,
Appena si ritorna a parlare di legge elettorale, sull’onda di un nuovo appello bipartisan per l’uninominale pubblicato sabato dal Corriere della Sera, all’interno del Pd affiorano profonde differenze tra quanti, come Massimo D’Alema, prediligono il sistema tedesco; quanti, come i veltroniani, sostengono l’introduzione dei collegi uninominali e delle primarie per legge; e quanti si accontenterebbero invece del ritorno al cosiddetto “Mattarellum”, che prevedeva un sistema misto tra collegi uninominali e quota proporzionale. Per tutti, l’attuale legge elettorale “fa comodo solo a Berlusconi”, è una “porcata” e non è in grado di garantire la governabilità a causa dei premi di maggioranza su base regionale previsti al Senato. Mentre senza dubbio permangono le questioni del giusto equilibrio tra rappresentatività e governabilità nel sistema di voto e di una riforma complessiva delle istituzioni che riguardi anche le funzioni e il sistema d’elezione del Senato – che più tentativi di riforma negli ultimi anni, e già alcuni progetti presentati in Assemblea costituente nel 1947, vedevano in chiave regionalista – occorre però sfatare due falsi miti che vengono alimentati ancora oggi.
Le difficoltà in cui si trovò il governo di Romano Prodi nel 2006-2008 non dipesero da una presunta “trappola” tesa dal governo uscente per non farlo governare. Come ricorda infatti l’estensore della legge, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli (intervista a il Giornale, 31 gennaio 2008), fu il Quirinale a chiedere che fosse introdotto nell’attuale legge elettorale l’aspetto giudicato da molti più problematico per la governabilità: “Ciampi fu irremovibile. E con una telefonata di uno dei suoi più stretti collaboratori ci costrinse a trasformare il premio di maggioranza del Senato da nazionale a regionale. Altrimenti non avrebbe controfirmato la legge”. La legge è “sì una porcata”, ammette quindi Calderoli, ma per l’intervento dei consiglieri del Colle. Inoltre, la fragilità della maggioranza al Senato non dipese solo dai premi su base regionale, ma anche dall’esito estremamente incerto del voto del 2006. L’Unione infatti prese 240mila voti in meno della Cdl al Senato e solo 20 mila in più alla Camera. Nonostante questo esito contraddittorio uscito dalle urne, il premio previsto su base nazionale garantì comunque una maggioranza solida alla Camera, mentre al Senato, nonostante avesse raccolto meno voti, Prodi ha potuto contare su una maggioranza, seppure risicata (e sostenuta anche dai senatori a vita).