La tassa sul celibato Riflessione storica-grottesca del giurista blogger Giovanni Cardona sul concetto di unione matrimoniale
La legge “Papia – Poppea”, introdotta dai consoli suffetti Marco Papio Mutilo e Quinto Poppeo Secondo, anche se essi stessi erano celibi, nell’anno 9 d.C., si prefiggeva di regolare le condizioni del matrimonio legittimo di fronte al celibato, onde rendere prolifici i matrimoni.
Preceduta dalle “rogationes Iuliae”, aveva lo scopo di frenare il diffondersi del celibato, incoraggiando e rafforzando il matrimonio e la natalità. Essa includeva, inoltre, degli interventi contro l’adulterio e le unioni extralegali.
Intendeva così colpire il celibato in modo che coloro cui faceva comodo non dare figli alla patria, le dessero almeno parte delle loro sostanze.
Non sono noti i risultati conseguiti sul piano dell’incremento delle nascite.
Tuttavia non si può negare che in Italia, nel ventennio fascista, Mussolini, col suo fiuto intuitivo storico politico, rimaneggiava atteggiamenti e frasari da “basso impero”, riesumando addirittura l’antica legge “Papia-Poppea“, sperando di aumentare il numero delle baionette per meglio affermare la supremazia del regime.
E applicò, “sic et sempliciter” parte delle “rogationes” incorporandole nella legislazione speciale la quale, in buona sostanza, puniva con un pesante balzello, quanti resistevano all’assoggettamento del talamo nuziale, preferendo godersi quello scampolo di libertà tra le tante represse.
Tiberio riuscì ad inasprirla con sanzioni gravissime, mentre a Mussolini fu risparmiata per il sopraggiungere della guerra coloniale che riportò l’impero d’Etiopia sui colli fatali di Roma, dopo XX secoli.
Ma a differenza della lex “Papia-Poppea” che marciava su di un solo binario, quella fascista guardava la famiglia, in quanto istituzione, e ne tutelava l’esistenza storica non soltanto nella sua fase formativa, ma anche in quella successiva con la nascita dei figli.
Nacque così la “Casa della Madre e del Fanciullo”, i premi di natalità, l’assistenza scolastica che rese obbligatoria creando, laddove ancora ne erano prive, le quinte classi elementari, fornendo agli alunni poveri i libri di testo gratis, coprendone le spese col tributo pecuniario dei celibi.
Per quanto ingiusta la tassa sul celibato imposta dal fascismo, si dimostrasse, non raggiunse mai l’estremismo di quella di Tiberio secondo la quale ai coniugi senza figli concedeva solo la metà delle sostanze acquisite con l’asse ereditario, formulandosi in tal modo un passaggio di eredità a favore dell’erario.
Accorgendosi poi di aver esagerato, Tiberio modificò atteggiamento ricorrendo alla consulenza di un comitato ad hoc scelto nell’ambito senatoriale che interpretò la normativa con larghezza riduttiva, in modo da salvare molte famiglie dallo spettro del fallimento.
Ma le contrarietà al suo operato, sospetti e intrighi insorti nell’ambito della sua stessa famiglia, e un poco indulgendo al suo carattere chiuso, nel 27 d.C. si ritirò a Capri, da dove si mosse assai raramente.
Egli aveva mostrato fino all’ultimo energie di carattere e buone doti politiche, non sempre comprese.
La sua morte rese felice molta gente tra cui Caligola che gli successe in odore di follia a tal punto da nominare senatore “Incitatus”, il cavallo nutrito con avena dorata e il vin del Cecubo, ma che non siederà mai in Campidoglio per sopraggiunta morte dell’animale, si narra anche lui celibe.
“Gli scapoli ricchi dovrebbero essere pesantemente tassati. Non è giusto che alcuni uomini debbano essere più felici degli altri.” (Oscar Wilde)