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TAURIANOVA (RC), MARTEDì 21 GENNAIO 2025

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La libertà religiosa è ancora negata e violata nel mondo A dirlo è il rapporto della Commissione per la libertà religiosa del Dipartimento di Stato americano. Messe a fuoco le discriminazioni perpetrate in tutti i Paesi

La libertà religiosa è ancora negata e violata nel mondo A dirlo è il rapporto della Commissione per la libertà religiosa del Dipartimento di Stato americano. Messe a fuoco le discriminazioni perpetrate in tutti i Paesi
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Nel mondo si registra una maggiore aumento delle violazioni della libertà religiosa.
È il risultato che emerge dal report annuale della Commissione per la libertà religiosa
del Dipartimento di Stato americano (Uscirf), il primo pubblicato sotto la presidenza
di Donald Trump. L’USCIRF è un’agenzia del governo federale statunitense creata
19 anni fa per consigliare l’esecutivo e il Congresso degli Stati Uniti su come
promuovere al meglio la libertà religiosa a livello internazionale. Il testo di
243 pagine mette a fuoco le discriminazioni e le persecuzioni perpetrate in tutti
i Paesi del mondo, aggiungendo poi una serie di raccomandazioni politiche in materia
di politica estera al presidente, al segretario di Stato e al Congresso degli Stati
Uniti. Lo studio, evidenzia Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti
[1]”, offre una vera e propria mappatura di ogni tipo di violazione dell’articolo
18 della Dichiarazione Universale dei diritti umani, teso a difendere la libertà
di pensiero, di coscienza e di religione, includendo anche la libertà di cambiare
religione o credo. Si riscontrano restrizioni sotto la veste di ordinamenti burocratici
che limitano la costruzione dei luoghi di culto; legislazioni che impediscono la
libertà di culto, d’espressione e d’opinione; fino ad arrivare ad arresti arbitrari
e assalti brutali commessi da sigle terroristiche di matrice integralista che controllano
porzioni di territorio. Le norme sulla blasfemia sono poi un esempio di come i governi
utilizzano la legislazione come mezzo per limitare la libertà religiosa, dietro
la presunta necessità di proteggere le religioni dalla diffamazione. Il rapporto
segnala le nazioni in cui avvengo le vessazioni più gravi inserendole nella lista
dei “Paesi che destano particolare preoccupazione”, Cpc (Countries of Particular
Concern), in cui rientrano Birmania, Repubblica Centrafricana, Cina, Eritrea, Iran,
Nigeria, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Arabia Saudita, Sudan, Syria, Tajikistan,
Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. In seconda fascia sono collocati gli Stati in
cui persistono violazioni ma si registrano miglioramenti delle condizioni come Cuba,
Egitto, Iraq e Afghanistan. Alla presentazione del testo, ieri, il segretario di
Stato Usa, Rex Tillerson, ha puntato il dito contro le condizioni in alcuni Paesi
alleati degli Stati Uniti. In particolare Bahrein e Arabia Saudita, rispetto ai quali
il membro del governo Trump ha citato le pene per i reati di apostasia, ateismo,
blasfemia e oltraggio all’interpretazione statale dell’Islam e ha parlato anche di
discriminazioni nei confronti degli sciiti. Parole dure pure per la Turchia, Paese
Nato: Tillerson ha accusato le autorità di aver limitato i diritti umani delle minoranze
religiose. Libertà di fede sotto attacco anche in un altro Stato alleato degli Usa,
il Pakistan. L’Iran è criticato per aver colpito le minoranze religiose, in particolare
Baha’i e cristiani. Il rapporto accusa quindi lo Stato Islamico di genocidio nei
confronti di yazidi, cristiani e sciiti. Tillerson ha citato anche Sudan e Cina.
La Commissione Usa accusa Pechino di perseguitare i cristiani, i membri del Falun
Gong e i buddisti tibetani. Per la prima volta compare tra i Paesi più a rischio
anche la Russia, dopo che il 20 aprile scorso la Corte Suprema russa ha emesso una
sentenza che vieta l’esistenza dei Testimoni di Geova in questa nazione. Immediate
le reazioni di alcuni Paesi citati. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese
ha annunciato che “la Cina ha protestato ufficialmente con gli Stati Uniti” poiché
“questa cosiddetta relazione ignora i fatti”. I funzionari iraniani accusano il Dipartimento
di Stato che il rapporto è “di parte”.