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“La mia vita non è il tuo porno”: quando gli spioni filmano sotto le gonne

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Lo scorso 9 giugno più di 20.000 persone si sono mobilitate per le
strade di Seoul per protestare contro la prassi di spiare sotto le
gonne e nei luoghi pubblici con microcamere. In metropolitana, nei
bagni pubblici, in strada: nella Corea del Sud, si starebbe assistendo
ad una vera e propria esplosione del fenomeno di donne videoriprese di
nascosto usando minuscole telecamere spia prima di finire su siti
pornografici. Da diversi anni questa pratica, chiamata “molka” in
Asia, è un vero problema nel Paese. Le foto pubblicate sui social
network mostrano le porte dei bagni pubblici crivellate di buchi o di
uomini che nascondono telecamere in una borsa o nei loro indumenti.
Secondo Buzzfeed News, alcune donne avrebbero persino iniziato a
coprire i loro volti come precauzione, nel caso in cui le immagini
riprese senza la loro conoscenza sarebbero state pubblicate su
Internet. “Non sono solo foto di sesso, ci sono video di donne che
fanno pipì in bagno, foto di donne in bikini, a casa, che camminano
per strada”, ha detto Chang Dahye, ricercatore presso l’Istituto
coreano di criminologia presso Korean Exposé . Secondo i dati forniti
dall’Agenzia nazionale della Corea di Sorveglianza, nel 2014, quasi 18
casi di “molka” sono stati scoperti quotidianamente. Le vittime
sarebbero per lo più donne. Per quanto riguarda gli autori, se
scoperti, tutt’alpiù vengono condannati a una multa. L’evento del 9
giugno è stato il più grande evento femminile nella storia del
paese. E lo scorso maggio, erano già 12.000 a sfilare per le strade.
Questa ondata di proteste è stata scatenata dall’arresto di una donna
che ha filmato e trasmesso l’immagine di un uomo che posa nudo per un
corso d’arte alla Hongik University di Seoul. A differenza degli
autori della “molka”, questa donna è stata prontamente consegnata
alla giustizia, e l’uomo vittima di questo caso è stato ascoltato
dalla polizia. Il collettivo anonimo “Il Coraggio di essere scomodo”,
all’origine dell’immensa marcia del 9 giugno, ha spiegato in un
comunicato stampa che il trattamento della vittima dell’Università
Hongik ha perfettamente illustrato i problemi affrontati dal vittime
di “molka”: “Il modo in cui il pubblico reagisce a una vittima maschio
o femmina è molto diverso. Mentre un video contro un uomo viene
considerato un crimine, la ripresa di una donna viene considerata al
massimo un porno. Purtroppo, rileva “Giovanni D’Agata, presidente
dello “Sportello dei Diritti
[http://www.sportellodeidiritti.org/]”, il fenomeno, noto anche come
upskirt, è ormai globale e merita la massima attenzione da parte
dell’Autorità Giudiziaria che dovrebbe perseguire questi vigliacchi
pseudocriminali non solo per la violazione della privacy delle donne
che ne sono vittima che costituisce un’autonoma fattispecie di reato,
ma anche per la sussistenza degli estremi di quello noto come
“interferenze illecite nelle vita privata”. E’ ormai certo che gli
organi di Polizia Giudiziaria, a partire dalla Polizia Postale,
abbiano gli strumenti e le conoscenze tecniche per scoprire
prontamente gli autori di questi cosiddetti reati “morbosi” ed
assicurarli prontamente alla Giustizia.