La negligenza dei Pm
redazione | Il 18, Set 2014
Antonio Giangrande parla di alcune sentenze della Corte di Cassazione
La negligenza dei Pm
Antonio Giangrande parla di alcune sentenze della Corte di Cassazione
Trattare il caso di Marianna Manduca, anche in video
, è come trattare miriadi di
casi identici, così come ho fatto in “Ingiustiziopoli. Disfunzioni del
sistema che colpiscono i singoli”, e mi porta ad affrontare un tema che
tocca argomenti inclusi in vari saggi da me scritti e pubblicati su Amazon e
su Lulu.
Per la verità la decisione della Corte di Cassazione, tanto enfatizza dai
media, è intervenuta solo per affermare un principio giuridico formale. La
Suprema Corte ha accolto il ricorso con il quale il tutore dei tre bambini
(Carmelo Calì che è un cugino della loro mamma che vive a Senigallia, nelle
Marche) ha fatto valere il diritto dei piccoli a ottenere giustizia. La
Corte di Appello di Messina non potrà più respingere la richiesta sostenendo
che sono scaduti i termini e che l’azione andava esercitata entro i due anni
dalla morte di Marianna. Per la Cassazione invece le argomentazioni dei
magistrati messinesi «non hanno giuridico fondamento» perchè – spiegano i
supremi giudici – il termine biennale, in un caso del genere, non può
decorrere dal giorno della morte della donna ma «dal momento in cui i minori
stessi avessero acquistato la capacità di agire», ovvero dal giorno in cui
un adulto veniva ufficialmente nominato loro tutore.
La Corte Suprema, sulla base della legge del 1988 sulla responsabilità
civile dei magistrati, ha affermato che i figli di Marianna ora potranno
avere un risarcimento dallo Stato per la «negligenza inescusabile» dei pm
che avrebbero dovuto invece occuparsi di quelle denunce.
Tanto si è parlato del caso di Marianna Manduca. Per la Cassazione i
magistrati non diedero importanza alle denunce della donna poi uccisa dal
marito ed è per questo che i suoi tre figli hanno diritto ad un
risarcimento. Il padre uxoricida è stato condannato a soli venti anni di
reclusione. Le aggressioni alla ex moglie erano tutte avvenute in pubblico.
Ciò nonostante nessuno condusse indagini e nemmeno prese provvedimenti a
tutela della donna in pericolo, nonostante le sue richieste di aiuto.
«Spesso la legge non tutela le donne, ma in questo caso anche quelle
previste non sono state applicate – denuncia l’avvocato Corrado Canafoglia –
è incredibile che 12 dodici aggressioni avvenute in strada, pubblicamente e
alla presenza di testimoni l’uomo non sia stato allontanato». Ergo:
sbagliano le toghe, pagano gli italiani, muoiono le vittime.
Ma a tutti è sfuggito un particolare importante che porta a chiederci: per
le toghe quante denunce insabbiate valgono una vita umana? Una, due, tre,
dieci…Oppure fino a che punto lo stantio o l’inerzia provoca l’inevitabile
evento denunciato?
E perché, come ai poveri cristi, alle toghe omissive non viene applicato il
reato di omissione d’atti di ufficio, ex art. 328 C.P.? Non si paventa il
dolo omissivo?
Non si pensi che la morte di Marianna Manduca sia un caso isolato e riferito
solo alla trinacride magistratura. Per i miscredenti vi è un dato, rilevato
dal foro di Milano tratto da un articolo di Stefania Prandi del “Il Fatto
Quotidiano”. “Per le donne che subiscono violenza spesso non c’è giustizia e
la responsabilità è anche della magistratura”. A lanciare l’accusa sono
avvocate e operatrici della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di
Milano che puntano il dito contro la Procura della Repubblica di Milano,
“colpevole” di non prendere sul serio le denunce delle donne maltrattate.
«La tendenza è di archiviare, spesso de plano, cioè senza svolgere alcun
atto di indagine, considerando le denunce manifestazioni di conflittualità
familiare – spiega Francesca Garisto, avvocata Cadmi – Una definizione,
questa, usata troppe volte in modo acritico, che occulta il fenomeno della
violenza familiare e porta alla sottovalutazione della credibilità di chi
denuncia i maltrattamenti subiti. Un atteggiamento grave da parte di una
procura e di un tribunale importanti come quelli di Milano». Entrando nel
merito della “leggerezza” con cui vengono affrontati i casi di violenza,
Garisto ricorda un episodio accaduto di recente: «Dopo una denuncia di
violenza anche fisica subita da una donna da parte del marito, il pubblico
ministero ha richiesto l’archiviazione de plano qualificandola come
espressione di conflittualità familiare e giustificando la violenza fisica
come possibile legittima difesa dell’uomo durante un litigio».
La sua storia è esemplare: è il padre di Carmela. «Una ragazzina di 13 anni
– scrive Alfonso – che il 15 aprile del 2007 è deceduta volando via da un
settimo piano della periferia di Taranto, dopo aver subito violenze sessuali
da un branco di viscidi esseri», ma poi anche le incompetenze e la malafede
di quelle Istituzioni che sono state coinvolte con l’obiettivo di
tutelarla», perché «invece di rinchiudere i carnefici di mia figlia hanno
pensato bene di rinchiudere lei in un istituto (convincendoci con l’inganno)
ed imbottendola di psicofarmaci a nostra insaputa». Carmela aveva denunciato
di essere stata violentata; e nessuno, né polizia, né magistrati, né
assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano presa sul serio. Ma le
istituzioni avevano anche fatto di peggio. Hanno considerato Carmela
«soggetto disturbato con capacità compromesse» e, quindi, poco credibile.
Invece di perseguire chi l’aveva violentata, hanno di fatto perseguito una
bambina rinchiudendola in vari istituti in cui Carmela non voleva stare. E,
come ha denunciato il padre, usando il metodo facile di «calmarla» con
psicofarmaci.
Fin qui la questione attinente al femminicidio.
L’uomo orco da scotennare? No! C’è un paradosso da non sottovalutare. Se i
Pm insabbiano, i giudici sono punitivi.
«Giudici punitivi, sempre dalla parte delle madri. E padri disperati: troppe
le storie quotidiane di sofferenza atroce». E’ agguerrito Alessandro Poniz
di Martellago (Ve), coordinatore Veneto dell’associazione Papà Separati.
Esprime la rabbia e la frustrazione che ogni giorno tanti genitori «vessati
dall’ex coniuge» riversano su di lui. «Ci si scontra continuamente con madri
“tigri” tutelate dalla legge – accusa Poniz – . Non mi stupisce il dramma
del papà di Padova. Sì, sono convinto che per la disperazione si possa
arrivare a togliersi la vita. Sapete quanti padri si presentano puntuali a
prendere i figli, secondo le sentenze stabilite dai tribunali, suonano il
campanello e vengono mandati via dalla madre con la scusa che il bimbo è
ammalato? Escamotage simili vanno avanti per anni… E quanti scontano
l’odio e il rancore di figli “plagiati” dalle madri?».
«Il sistema non è mai pronto a intervenire tempestivamente», sostiene
Alessandro Sartori, presidente Veneto dell’associazione italiana avvocati
per la famiglia e per i minori (Aiaf). «Ci vorrebbe una formazione specifica
sia per i giudici che per i servizi sociali. A volte sono chiamati a
pronunciarsi su questa materia delicatissima giudici che fino al giorno
prima si occupavano di diritto condominiale…».
Divorzi e paternità: ecco come la donna violenta l’uomo. False denunce e
false accuse tra violenze fisiche, verbali e paternità negate. Nella coppia
la donna diventa sempre più violenta. Ecco i risultati sconcertanti del
questionario, scrive Nadia Francalacci su “Panorama”. “Sono prive di
fondamento le teorie dominanti che circoscrivono ruoli stereotipati:
donna/vittima e uomo/carnefice”. Ad affermarlo è la psicologa forense Sara
Pezzuolo, dopo aver condotto in Italia la prima “Indagine conoscitiva sulla
violenza verso il maschile”. “Dal questionario emerge come anche un soggetto
di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa di
violenze fisiche, sessuali e psicologiche – continua a spiegare a
Panorama.it, l’esperta – che trasformano il soggetto di genere maschile in
vittima”.
E quando gli affidi diventano scippi e le vittime sono i figli ed entrambi i
genitori?
Ci sono i falsi abusi, ma che realizzano vere tragedie. Solo 3 denunce su
100 si concludono con una condanna.
Minori strappati dalle mura domestiche e rinchiusi all’interno di comunità.
Storie di sofferenze, abusi, maltrattamenti, ma anche di errori giudiziari,
che segnano indelebilmente la vita di minori, costretti a vivere e crescere
in comunità o famiglie affidatarie lontane dall’affetto dei genitori.
Da quanto detto si estrae una semplice conclusione. Il sistema esaspera gli
animi ed il debole soccombe. Non vi è differenza di sesso od età. Solo i
media esaltano il fenomeno del femminicidio. Lo fanno per non colpire i veri
responsabili: i magistrati.
Bene. Anzi, male. Perché se è vero, come è vero, che questo sistema della
stagnazione delle denunce o la loro invereconda procedibilità viene
applicato anche per qualsiasi altro tipo di reato violento, allora si è
consapevoli del fatto che ogni vittima è rassegnata al peggio. Si badi bene.
Qui si parla anche di vittime di estorsioni. Quindi vittime di mafia. Senza
parlare poi delle vittime di errori giudiziari.
Ecco, allora, chiedo a Voi toghe. Quando scatterebbe la “la negligenza
inescusabile” dei PM che provoca morte o rassegnazione, dopo una, due, tre,
dieci…denunce? Ce lo dite con una vostra alta sonante pronuncia, in modo che
noi vittime, poi, teniamo il conto di quelle già insabbiate. Se poi, in
virtù dell’indifferenza sopravviene la morte, chissà, forse i nostri figli
si potranno rivalere economicamente, non sui responsabili, come sarebbe
giusto, ma, bontà vostra, sui nostri e vostri concittadini che pagano le
tasse anche per quei risarcimenti del danno. Danni riferiti a responsabilità
dei magistrati, ma non a questi addebitati.
Dr Antonio Giangrande