Editoriale di Luigi Pandolfi
La nemesi di Cosentino
Editoriale di Luigi Pandolfi
Il voto su Cosentino sembra che abbia sconquassato la Lega Nord. Sembra, perché da quelle parti anche ciò che appare del tutto scontato spesso non lo è affatto. Certo è che la vicenda ha evidenziato con la forza di un uragano la contraddittorietà di questo partito, che da un lato riprende la strada della secessione, dall’altra si fa irretire dai suoi ex alleati di governo. “La Lega non è mai stata forcaiola” ha dichiarato Bossi, suscitando ilarità da un capo all’altro del paese. Ma se la Lega è quel partito che la forca l’ha portata proprio in parlamento ai tempi di tangentopoli! Ah, dimenticavamo: la Lega è anche quel partito che, rivolgendosi ai magistrati di mani pulite, spiegò che una pallottola al Nord costava non più di 300 Lire.
Ma sì, lo stesso partito che dava del mafioso a Berlusconi, per poi stringerci un’alleanza politica che lo porterà di nuovo al governo del paese. Ma poi cosa si vuole: un partito che ha creduto che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak può anche pensare che Nicola Cosentino sia perseguitato dalla Procura di Napoli! Questa è l’Italia, questa è la Lega.
E Maroni? Solo adesso si è accorto che la Lega dovrebbe prendere le distanze da alcune costumanze della politica italiana? Quando stava al Ministero dell’Interno non un sibilo abbiamo ascoltato dalla sua bocca per denunciare la deriva della politica italiana, né lo abbiamo mai visto denunciare il carattere antidemocratico del partito di cui fa parte. Per di più dietro il suo profilo bonario non abbiamo mai scorto i segni di una certa insofferenza per le campagne xenofobe e per le provocazioni antiunitarie di cui la Lega è stata protagonista negli ultimi anni, né lo abbiamo visto stracciarsi le vesti per le relazioni pericolose di qualche suo alleato di governo. Già in queste ore si assiste allo spettacolo indecoroso di media e pezzi del mondo politico che santificano l’ex ministro, distinguendo la sua ragionevolezza, il suo volto moderato, dal profilo fosco, incoerente e barbarico di Bossi e dei membri del cosiddetto “cerchio magico”. No. Maroni potrà portare fino alle estreme conseguenze la sua personale lotta per il potere dentro il partito, ma non può pretendere di essere considerato “diverso” dal suo capo e dal resto del gruppo dirigente della Lega.
In linea generale la vicenda ha però anche un altro significato. Dietro l’apparente distanza tra Bossi e il Cavaliere si cela un’alleanza che è più solida di quanto si possa immaginare. Berlusconi chiama, Bossi risponde. Forse non saranno solo dicerie quelle che vorrebbero, chissà per quali inconfessabili ragioni, il capo del Carroccio saldamente nelle mani di Berlusconi.
Sarebbe comunque paradossale che la rottura del più monolitico dei partiti italiani, che ha fatto fin dalla sua nascita dell’antimeridionalismo la sua bussola, avvenisse per una strana quanto beffarda nemesi: quella del Mezzogiorno più deteriore, che anche lo stesso Mezzogiorno sta tentando con fatica di archiviare.
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