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TAURIANOVA (RC), MERCOLEDì 04 DICEMBRE 2024

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La storia del Brigadiere Bevacqua, un militare temuto dalla criminalità organizzata e infangato dai colleghi Il militare insieme ad un altro collega, erano due bravissimi carabinieri che contrastavano la criminalità organizzata sul campo

La storia del Brigadiere Bevacqua, un militare temuto dalla criminalità organizzata e infangato dai colleghi Il militare insieme ad un altro collega, erano due bravissimi carabinieri che contrastavano la criminalità organizzata sul campo

Di Pasquale Motta

Tutto comincia un pomeriggio del 30 luglio del 2009, allorquando, nei pressi del ristorante “La Lampara” di Gizzeria, ignoti davano fuoco all’autovettura del brigadiere Vincenzo Bevacqua, in servizio alla sezione operativa della Compagnia dei Carabinieri di Lamezia Terme. L’intervento di alcune persone del luogo faceva si che l’incendio non si propagasse, e ciò consentì di limitare i danni. Tuttavia, considerato il ruolo e la delicata sezione operativa dell’Arma in cuoi prestava servizio il sottufficiale, sull’episodio delittuoso, immediatamente, venne aperto un fascicolo per riuscire a identificare e punire gli autori del gesto chiaramente intimidatorio. Tra l’altro, il brigadiere Bevacqua, aveva un profilo estremante attivo nella lotta al crimine organizzato del territorio. Lo si vedeva spesso impegnato in coraggiose operazioni di controllo e prevenzione a carico di numerosi pregiudicati, e dunque, per tali motivi inviso a diversi malviventi. Fin dalle prime attività investigative emergeva chiaramente che i mandanti e gli esecutori del danneggiamento erano riconducibili alla cosca Giampà’. Tra l’altro, Bevacqua, nello stesso periodo aveva subito altri danneggiamenti, uno nei pressi del centro commerciale due mari e un altro nei pressi della stazione ferroviaria di Sant’Eufemia Lamezia.
Qualche tempo dopo, a conferma dei sospetti in merito agli eventi delittuosi di cui era stato vittima il brigadiere, arrivarono le dichiarazioni di alcuni pentiti della cosca. In particolare, in merito al danneggiamento, il pregiudicato Saverio Cappello, esponente della cosca Giampa e diventato nel frattempo collaboratore di giustizia, si autodenunciava, sostenendo di essere l’esecutore materiale insieme ad altri soggetti della consorteria, e dichiarando che il mandante dell’atto intimidatorio fosse il capo della cosca, e cioè, Giuseppe Giampà, il quale, sempre secondo le dichiarazioni del pentito Cappello, nutriva un forte risentimento nei confronti del sottufficiale Vincenzo Bevacqua, poiché il militare aveva redatto una serie di annotazioni nei suoi confronti, che avevano aggravato l’istituto della Sorveglianza Speciale a suo carico. Le dichiarazioni di Cappello furono riscontrate e confermate da un altro collaboratore di giustizia, Angelo Torcasio, anch’egli della cosca in questione, il quale sostenne “che l’unico atto delittuoso commesso dalla cosca Giampà nei confronti di appartenenti alle istituzioni, fu l’incendio dell’autovettura del Brigadiere Bevacqua, come atto ritorsivo contro le sue attività investigative.”
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