La tassa sull’aria Riflessioni del giurista Giovanni Cardona sui balzelli più estrosi, oppressivi e spudorati
Nella Francia del Settecento venne proposta una tassa sui vizi (giochi d’azzardo, adulteri, concubinaggi e maldicenze), esentando la sola Parigi, onde non pregiudicare l’interesse dei forestieri, attratti dalla libertina capitale francese ed apportatori di benessere economico per l’intero “bel reame”.
Anche Papa Giovanni XXII, secoli prima, pare imponesse una tassa sui peccati, proporzionale alla gravità degli stessi e commisurata allo status economico del penitente, con rapportato aumento in funzione anche della reiterazione peccaminosa dello spergiuro.
In Russia Pietro il Grande, impose il pagamento di una tassa sull’onor del mento, costituito dall’esborso di una ragguardevole somma che autorizzava amministrativamente la crescita della barba, pena il radicale taglio ad opera dei controllori.
Molti secoli prima ai tempi di Settimio Severo, un governatore della Siria impose una tassa sull’aria, ripresa analogamente diciotto secoli dopo dal governo borbonico con una tassa sulle finestre e sulla spaziatura degli abitanti privati.
Ancora gli antichi romani, per impinguare le casse statali falcidiate dalla seconda guerra punica, obbligarono con l’ausilio geniale del censore Livio – da allora soprannominato “Solinatore” – al versamento di una tassa per l’utilizzo gratuito del sole.
Ma non era raro che, le tasse servissero ad azzerare le spese superfluamente vane del monarca di turno senza alcuna contropartita per la popolazione, basti ricordare che nel 1715 Francesco Maria Farnese, onde saldare un esoso debito di gioco, gravò i crani della popolazione introducendo la tassa sulle parrucche!
Guglielmo d’Inghilterra, inventandosi una immaginaria ed irrealizzabile invasione della Normandia, coscrisse ventimila uomini per formare un esercito, facultandoli di chiedere l’esonero a condizione che sborsassero dieci scellini: naturalmente la guerra non fu censita tra gli annali di storia medievale.
Nell’ottocento italiano, un provvedimento fiscale, così impopolare da dare luogo alla moderna avversione per le tasse, fu la legge proposta dal ministro delle finanze Quintino Sella, entrata in vigore il primo gennaio 1869, contemplante un prelievo forzoso sul macinato del grano (c.d. tassa sul macinato).
Dulcis in fundo, la tassa sul celibato forgiata dai romani e raffinata dai francesi, venne capitalisticamente trasformata negli Stati Uniti, ove se ne poteva richiedere l’esenzione a condizione di dimostrare di essere stato rifiutato, compiuti i ventotto anni, tre volte consecutive ad altrettante richieste matrimoniali.
Come non condividere, allora, Murray Rothbard ne “L’etica della libertà” ove asserisce che “Mentre il furto commesso da una persona o da più persone o gruppi è un male, se è lo Stato a compiere tali azioni, allora non si tratta più di un furto, bensì dell’atto legittimo, e perfino consacrato, detto tassazione”.