Lady D, sembra ieri Diciotto anni dopo, la figura, il ricordo e, per alcuni, il fantasma di Lady Diana Spencer, morta il 31 agosto del 1997 a Parigi, aleggiano con un fascino e una attualità incorrotte dal tempo. Riproponiamo il testo del pezzo che Luigi Mamone scrisse in quei giorni di un ormai lontano settembre
di Luigi Mamone
Lady Diana: non solo Principessa del Galles ma Regina, riconosciuta e amata dal mondo tramite i media, e insieme donna sensibile ai mutamenti della società. Una vita breve e gloriosa nel solco dei grandi del nostro tempo. In una estate segnata dalla morte di personaggi pubblici a vario titolo tutti importanti e tutti parte integrante, oltre che dello star system, di quel villaggio globale teorizzato da Marsall McLuhan, la morte di Lady Diana Spencer, Principessa del Galles – regina in pectore di una Inghilterra viva, vera e vitale, Regina universale del Villaggio globale – è quella che più delle altre, in questo 1997 che volge al declino, ha suscitato commozione e dolore in milioni, forse miliardi di persone. Perchè? La scomparsa di Lady Di rappresenta, per un insieme di motivazioni di diversa origine e di pulsioni emotive egualmente diverse, il primo fenomeno di dolore planetario e di adozione planetaria di una persona per il tramite dell’opera informativa dei mass media. Il dolore per la scomparsa di Diana è stato e rimane vero e sentito. Milioni di persone in tutto il mondo hanno pianto e sofferto come per la scomparsa – e forse di piu’- di un familiare. Ormai a quasi 4 mesi di distanza dal tragico incidente e dai funerali la gente continua a deporre fasci di fiori davanti ai luoghi legati al ricordo della Principessa. Si sente gravare, oltre allo sgomento per la tragica morte, il peso gravosissimo della unicità e non sostituibilità di Lady Di. Il villaggio globale è in lutto perché è’ morta la sua regina. In questi sedici anni di vita pubblica Diana Spencer ha incarnato per la gente il sogno, la fiaba, il fascino di una carità che non era soltanto rivolta ai sofferenti ma che assumeva una connotazione diversa per chi, forse, in quel sorriso, in quegli occhi grandi, dolcissimi e spesso venati di malinconia, in quell’insieme inscindibile di bellezza, di eleganza e di fascino comunque regale trovava nel turbinio della vita la fiammella lieve della speranza.
Lady Diana ha trasmesso in tutti questi anni messaggi di speranza in ogni angolo della terra; ha creato negli anziani amor filiale, ha fatto innamorare ( non nel senso erotico del termine) i coetanei, coloro che nella logica del villaggio di Mc Luhan, per un fatto anagrafico avrebbero potuto essere i suoi compagni di scuola, o gli amici dell’infanzia, e ha trasmesso ai giovani un non so che di dolcezza materna. Diana Spencer ha calato la Monarchia Inglese, da sempre lontana per tradizione dalla gente, in una realtà che non era più quella imperiale e vittoriana. Una realtà che forse, per chi vive solo a contatto con la Corte, l’Ufficialità e il Protocollo può sembrare ancora inossidata nella sua forza istituzionale, ma che invece oggi appare vieppiù minata alla base dal mutamento sostanziale dei bisogni della gente che non solo di eroismi e blasoni ha bisogno ma di un aiuto che può e deve essere anche spirituale . Diana aveva compreso, per il fatto di essere giunta a Corte provenendo da una vita “normale”, il cambiamento epocale della società britannica e poi il cambiamento del mondo. La personalità di Diana era divenuta probabilmente gigantesca al cospetto del compassato marito per poter invecchiare fra artificiosi impegni ufficiali, partite di caccia e la mondanità retrò dell’esclusivo ambiente dell’elite cortigiana . La sua sensibilità era troppo spiccata per potersi annullare fra dame di compagnia e inappuntabili lords, stantii nella loro algida compostezza e capaci di chiudere gli occhi per salvare apparenze e status davanti alle piccole nequizie, ai tradimenti e alle ipocrisie di un mondo sempre più raggomitolato intorno ai capisaldi di una intoccabilità che sembra sfociare nella ignavia e quindi nell’inutilità. Diana apparteneva a una generazione troppo giovane per poter accettare questi compromessi, e per poter accettare in cambio di privilegi regali la consapevolezza del tradimento del marito.
Apparteneva alla stessa generazione di coloro che erano bambini all’epoca delle contestazioni sessantottine e dello sbarco dell’uomo sulla luna e che ricordano quasi come in un sogno la morte di John Kennedy e qualche anno dopo quella del fratello Bob, i funerali di stato di Winston Churcill, i discorsi di Lyndon Johnson e la guerra del Vietnam; l’assassinio di Luther King, i carrarmati sovietici a Praga con Jan Palach che si dava fuoco gridando il suo anelito di libertà. Una generazione cresciuta con la televisione, con il sogno gaudente della libertà senza convenzioni, dei Richie Cunningham e dei Fonzie di Happy Days. Una generazione che sempre grazie alla televisione aveva preso coscienza delle grandi tragedie planetarie, dei bambini denutriti, delle vittime innocenti delle tante guerre, civili e non, che insaguinano il mondo, del fallimento delle utopie filosofico-politiche, e dunque successiva a quelle di coloro che ritenevano che il mondo potesse essere cambiato dalle rivoluzioni di massa. Una generazione che aveva dovuto far i conti con la recessione, le crisi economiche, la disoccupazione, l’emergere di tutte le forme del disagio metropolitano contemporaneo. Una generazione che aveva saputo che nelle guerre muoiono milioni d’innocenti e che dopo la fine delle guerre altri innocenti continuano a morire. Una generazione che non aveva uomini guida e che non riconosceva più quelli che per altri forse lo erano e che aveva capito quanto la solidarietà debba essere importante per dimostrare con i fatti che la Pace si possa raggiungere e che un mondo migliore possa essere costruito sulla solidarietà e sull’amore Quella era la generazione di Diana Spencer. Quelli erano i messaggi che Diana portava dentro di sé e che Buckingam Palace avrebbe gradito la Principessa cancellasse.
Diana (con tutti i pregi e i difetti del suo carattere cancerino) era figlia della propria generazione e alla propria innata generosità non poteva anteporre la Ragion di Stato. Diana era partecipe al divenire della società, i Windsor no. La gente capiva e apprezzava. Senza Diana, senza questa breve intensissima parabola di vita, alla soglie del 2000 qualcuno in Gran Bretagna, avrebbe già finito per domandarsi che cosa fosse la Monarchia e quale funzione continuasse ad avere nella Inghilterra contemporanea. La rottura del matrimonio e il Divorzio dal principe fedifrago e dallo spettro di Camilla (inutile ripetere quanto altri prima e meglio di noi hanno scritto) rendono da un lato Diana preda di una solitudine gravosissima ma dall’altro le consentono di poter agire senza vincoli. Pian piano, nell’opinione pubblica mondiale la principessa sola diviene argomento di cronaca sempre più massiccia. Un turbillion di notizie di ogni tipo rimandano per ogni angolo del mondo l’immagine della principessa che senza mai perdere l’aura fiabesca del giorno delle sue nozze diviene la fata buona della gente semplice, del popolo, delle casalinghe, degli operai, dei soldati delle forze multinazionali, dei mutilati, degli ammalati di AIDS, dei bambini poveri, ammalati e abbandonati. Una Florence Nightngale del 2000, e, insieme, la star che piange ai funerali dell’amico stilista al fianco di un popsinger o va in crociera con l’uomo che per ultimo aveva amato. Una regina e insieme una donna, in grado di trascinare nella sua orbita i sudditi del villaggio globale che non vogliono solo esempi irripetibili di santi spiriti, eroi e stoici, ma leader, capaci di scuotere i cortigiani i potenti e i ricchi portandoli a sposare le cause della solidarietà .
Diana comincia a svolgere un ruolo “pubblico” e velatamente politico. Può farlo, senza violare quella Magna Charta Libertatum sul cui rispetto ancor oggi poggia la Monarchia britannica. La gente crede alla sua spontaneità, alla sua attenta e sincera partecipazione e le molte istituzioni beneficate con elargizioni ne amplificano il significato in tutto il mondo. Diana diviene la regina del villaggio. La società postmoderna, alle soglie del terzo millennio ha bisogno di amore. Diana ha dato amore. Il suo merito è stato quello di aver dimostrato che i potenti della terra fossero uomini, e che dovessero divenire partecipi alla realizzazione di un progetto universale di solidarietà. e che l’amore genera carità e la carità genera a sua volta amore. La grandezza di Diana è anche questa. . Una eroina moderna? Forse. Nel solco di un destino comune ai grandi personaggi del nostro secolo è morta giovane. Un disegno imprescrutabile, che vogliamo credere salvifico, l’ha strappata dalla vita forse per impedire che l’efficacia del suo messaggio scemasse con il trascorrere degli anni, dando corpo nello stesso istante ad un momento di dolore planetario che ha scosso le istituzioni e che, oltre ad aver fatto fisicamente “scendere dal trono i potenti ed elevato gli umili” che a milioni per lei hanno pianto, ha creato le condizioni perchè, per poter continuare a sopravvivere le istituzioni britanniche, escano dalla cristallizzata ignavia e nel nome e nel ricordo di Diana Spencer continuino ed ingigantiscano il loro impegno di solidarietà e di carità verso i poveri della terra, i derelitti, gli emarginati e i deviati. Gilles Villeneuve poco tempo prima di morire, nel 1981, quando ancora Diana doveva sposarsi, visitando un centro per bambini handicappati ricevette una rosa e disse che la vita doveva anche essere “fragance” : profumo ergo: solidarietà , impegno sociale. Diana Spencer, con le parole di Elton John, fu la Rosa d’Inghilterra ( England’s Rose ). Alle future generazioni del villaggio globale il compito di non far disperdere il profumo di questo fiore e il ricordo del suo sorriso. God Bye England’s Rose…..baciata , nel giorno del funerale come in quello delle nozze da un sole radioso. Il sole, in Inghilterra , appunto, delle Regine.