Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), SABATO 23 NOVEMBRE 2024

Torna su

Torna su

 
 

“Lamezia un territorio saccheggiato e devastato” Casarossa 40: "Cosa ci insegna l’ultima vicenda ENI-ECOSISTEM e perché bisogna rilanciare la lotta dopo il referendum del 17 aprile"

“Lamezia un territorio saccheggiato e devastato” Casarossa 40: "Cosa ci insegna l’ultima vicenda ENI-ECOSISTEM e perché bisogna rilanciare la lotta dopo il referendum del 17 aprile"
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

Sono passati quasi due settimane dalla vicenda che ha visto coinvolte alcune aziende calabresi nel traffico illecito legato allo smaltimento dei residui delle lavorazioni petrolifere negli impianti Eni della Basilicata.
Il dibattito come al solito sembra tutto spostato sulla questione giudiziaria, sull’illecito legato al truffaldino utilizzo dei codici CER (il codice che identifica il tipo di rifiuto trasportato) ma poco è stato detto sull’impatto che queste sostanze ed il loro trattamento industriale hanno sul territorio e sulla salute dei cittadini, soprattutto sui lavoratori e le lavoratrici che quotidianamente vengono a contatto con sostanze delle quali spesso non ne conoscono la reale natura.

Modificare un codice CER, come si legge nell’ordinanza della Procura di Potenza, vuol dire dichiarare non pericoloso quello che in realtà lo è; vuol dire mettere a contatto una parte della popolazione lametina con sostanze dannose per la salute perché potenzialmente cancerogene.

Sempre dall’ordinanza emerge che “nei servizi resi dai due raggruppamenti non vi era alcuna distinzione, sia di tipologia che di costo, tra i due rifiuti provenienti dalle vasche V560-TA-002 e V560-TM-001 poiché entrambi venivano inviati presso gli impianti di smaltimento con il CER 16 10 02 (caratterizzato “non pericoloso”) e contabilizzati in egual modo, eccezion fatta per pochi conferimenti per cui, a seguito di verifiche interne di laboratorio (analisi limitata a pochi Analiti come indicato nel contratto e che comunque non ricomprendeva la ricerca di Metildietanolammina e di Trietilenglicole), venivano contabilizzate con altre fasce di prezzo (come ad esempio nel caso delle cd. “Acque oleose fortemente contaminate fascia A e B”)”.

Un’operazione quest’ultima che ha portato a conferire presso la piattaforma di trattamento rifiuti pericolosi della Econet Srl, situata nella zona industriale di Lamezia Terme, un quantitativo di rifiuto liquido pericoloso di oltre 68mila tonnellate e che ha portato al raggruppamento di imprese capeggiato dalla Ecosistem a fatturare direttamente ad ENI circa 12 milioni di euro (Ecosistem € 6.229.709,72; Econet € 3.087.363,00; Sida € 2.114.679,96).

Un bel gruzzoletto se si pensa che questo è stato accumulato in poco più di un anno di attività!

Appare goffo allora il tentativo di difesa dell’amministratore delegato della Ecosistem che attribuisce la responsabilità solo al produttore dei rifiuti. Se pur vera questa affermazione ci sembra però alquanto improbabile che il trasporto di queste sostanze pericolose avvenisse a scatola chiusa e che appunto i rifiuti pericolosi una volta giunti alla Econet per il trattamento, nessuno si accorgesse di quanto avevamo sotto gli occhi ed il codice degli appalti parla chiaro rispetto alle responsabilità del subappaltatore/affidatario.

Ma pur non volendo scomodare la legge, basta dare una rapida lettura alle intercettazioni telefoniche contenute nell’ordinanza per capire la reale complicità tra tutti i soggetti coinvolti.
Risulta poi completamente fuori luogo agitare lo spauracchio della disoccupazione e delle centinaia di persone che lavorano con la Ecosistem perché la questione importantissima del reddito non deve in nessun caso essere messa in antitesi con la salute dei lavoratori e dei cittadini.

Ma questa vicenda dalle tinte fosche fa da cassa di risonanza ad alcuni nostri interrogativi.

La Sida e la Ecosistem non lavorano già in ATI per la gestione del depuratore consortile dell’area industriale di Lamezia Terme? I reflui prodotti dalle aziende presenti nella zona industriale (tra cui Econet ed Ecosistem) sono tutti collettati al depuratore consortile?
Il depuratore è in grado di trattare reflui potenzialmente contaminati da sostanze tossiche? O forse quest’estate faremo il bagno in mezzo a migliaia di tonnellate di sostanze tossiche? Ed infine, quale dovrebbe essere la reale vocazione di un’aerea industriale prospiciente quella che un tempo fu considerata una delle aree fociali più interessante della Calabria, quella del torrente Turrina?

Queste ultime vicende hanno, a nostro avviso, una forte connessione con le altre che hanno attraversato l’area industriale ex SIR come ad esempio l’esplosione del silo della Ilsap Biopro che portò alla morte di tre operai o i ripetuti eventi disastrosi legati alla cattiva depurazione e all’occultamento dei fanghi. Sono tutti chiari segni di cosa realmente rappresenti quell’area, di quale “vocazione” è espressione, di quali processi predatori è il frutto, quelli appunto messi in atto nella lunga corsa che dai cosiddetti Patti Territoriali ha portato alla creazione dell’Asicat e della Lamezia Europa che su quell’area sono solo portatori di interessi “particolari”.
Una terra come quella di Lamezia Terme che è stata segnata negli anni da un attacco senza precedenti contro il territorio (eolico, rifiuti, cava, biomasse, discariche, depurazione, ecc…), questo ennesimo scempio ci sembra la ciliegina sulla torta finita sul tavolo del banchetto dei soliti potentati locali che con tutta evidenza hanno interessi extraterritoriali talmente grossi da portarli a stringere rapporti con le più importanti multinazionali del settore petrolifero come l’ENI, appunto.

Rapporti che hanno un solo ed unico effetto, arricchire i soliti “signori della monnezza” e colpire inesorabilmente un’intera popolazione che unisce ai tanti tumori ed alle malattie respiratorie connesse agli scempi ambientali, l’inefficienza del servizio sanitario nazionale che oggi, tra tagli del Governo Renzi e piano Scura, vede sempre più ridurre l’intervento pubblico a favore di quello privato.
Probabilmente quando i nostri politici “convocano le masse” in piazza sfruttando un reale e doloroso malcontento popolare, dovrebbero avere anche il coraggio di denunciare quello che i loro amici affaristi portano avanti nel silenzio e nella riservatezza della stanza dei bottoni.

Anche la feroce propaganda anti-referendum, che mira al non raggiungimento del quorum o alla vittoria del NO e quindi al fallimento del referendum stesso, è opera di quello stesso gruppo di potere, politico e finanziario, che supporta tutte le grandi opere definite “strategiche”.

Ma gli interessi avidi delle potenti lobby che di fatto guidano il nostro Paese, il loro sfacciato disinteresse per i beni comuni e per la salute ambientale e del cittadino non fanno altro che deporre a favore di una più ampia espressione possibile a favore del SI il prossimo 17 aprile. Perché se certamente la campagna referendaria non è in grado di mettere complessivamente in discussione l’intera economia estrattiva non si può però non notare come questa assuma comunque oggi un significato particolare e specifico in un contesto politico, quello italiano, che potrebbe vacillare attorno a diverse contraddizioni che questo 17 aprile sta aprendo.

L’obiettivo quindi dovrà essere quello di avere la capacità di sedimentare pratiche di opposizione, e la campagna referendaria è lo strumento che attorno all’identificazione dell’obiettivo deve riuscire a creare immediatamente la polarizzazione che serve per la costruzione di una soggettività-contro, che continuerà ad urlare, bloccare e manifestare a prescindere dal risultato referendario.

Questo referendum dà la possibilità a chi oggi lotta contro lo sfruttamento delle risorse e delle vite di far valere, tramite uno strumento “democraticamente” riconosciutoci, la propria posizione.
Una posizione che dovrà risuonare nei meandri dei palazzi istituzionali fino a quando la battaglia NoTriv non sarà vinta. Fino a quando non diventerà una lotta che riuscirà a mettere a critica in maniera incisiva il modello di sviluppo che sfrutta senza ritegno e accumula ricchezze guadagnando sulla nostra pelle!

Rivendicare autodeterminazione, affinché si possano scardinate le logiche di potere vigenti, il comando capitalistico e le sue cinghie di trasmissione, per dare spazio ad una valorizzazione dei territori che metta al centro chi i territori li vive, per decidere dal basso come deve cambiare il nostro presente e come sarà il nostro futuro.

#RIPRENDIAMOCI IL COMUNE. RIAPPROPRIAMOCI DELLA CITTÀ