L’ascesa criminale della cosca Maio di San Martino di Taurianova
redazione | Il 13, Dic 2011
Ecco la ricostruzione degli investigatori che ha portato agli arresti di oggi
L’ascesa criminale della cosca Maio di San Martino di Taurianova
Ecco la ricostruzione degli investigatori che ha portato agli arresti di oggi
Un breve cenno storico e genealogico della famiglia Maio:
Per meglio inquadrare, preliminarmente, la caratura criminale della cosca MAIO, che si è appurato operare con metodo mafioso in San Martino di Taurianova, appare utile riportare alcune notizie riferibili dalla lettura di sentenze e vecchie informative di polizia giudiziaria redatte a seguito di gravi eventi delittuosi (omicidi e tentati omicidi) che, negli anni ‘70 e successivamente ’90, interessarono quel centro urbano nonché di taluni provvedimenti giurisdizionali.
E’ da premettere che la cosca Maio, oggetto della presente indagine, non è mai stata prima di ora oggetto di accertamento giudiziario.
Non si rinvengono infatti sentenze che hanno cristallizzato e riconosciuto la sussistenza della famiglia Maio quale famiglia di ‘ndrangheta.
La presente e complessa attività investigativa ha consentito di superare le difficoltà derivanti dalla frammentarietà ed incompletezza delle notizie acquisite negli anni inerenti il tessuto malavitoso della zona di San Martino di Taurianova, peraltro non abbastanza noto ad oggi agli organi inquirenti ed alla magistratura.
Cionondimeno taluni vecchi fatti storici, oggi, alla luce proprio dell’indagine condotta dal Nucleo Operativo e Radiomobile-Aliquota Radiomobile dei Carabinieri di Gioia Tauro, possono ricevere una lettura diversa e corrispondente al reale stato di cose.
Che l’organizzazione criminale ‘ndrangheta esista da tempo a San Martino di Taurianova e che ha certamente rivestito un ruolo preminente nel panorama mafioso calabrese, lo si ricava dalla lettura del rapporto nr. 04290/120-2 “P”, datato 29.04.1985, della Compagnia di Taurianova, relativo ad informazioni sul conto di ZAPPIA Giuseppe classe 1912, capo storico della ‘ndrangheta di San Martino.
In essa si parla del c.d. “Summit di Montalto” del 26.10.1969, che era stato infatti presieduto proprio da ZAPPIA Giuseppe.
Si legge infatti nell’informativa:
Sono trascorsi più di 40 anni. Il 26 ottobre del 1969 era domenica.
A Serro Juncari di Montalto, nel cuore dell’Aspromonte, si diedero appuntamento gli esponenti di tutte le “famiglie” per una congeniale riunione. Erano in 150.
Quella mattina, sulla montagna di San Luca, c’era il gotha della ‘ndrangheta agro-pastorale, la vecchia ‘ndrangheta. In quella radura si stava celebrando quello che passerà alla storia come il “Summit di Montalto”.
Erano anni particolari per l’Italia. Furono anni straordinari per le nuove dinamiche criminali nella provincia di Reggio Calabria.
La vecchia ‘ndrangheta voleva organizzarsi, per stare a passo coi tempi.
Si riteneva necessario far ragionare il nuovo che avanzava. Fu PEPPE ZAPPIA, CINQUANTASETTE ANNI, CAPO BASTONE DELLA ‘NDRANGHETA DI SAN MARTINO DI TAURIANOVA, a presiedere quell’assemblea: “Non c’è ‘ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ‘ndrangheta di ‘Ntoni Macrì, non c’è ‘ndrangheta di Peppe Nirta”, dovette tuonare nel corso del convegno.
Un rimprovero più che dovuto perché la mafia della provincia di Reggio Calabria faticava ad organizzarsi e quel vertice serviva proprio per trovare un accordo tra i capobastone ed affermare che, appunto, la ‘ndrangheta era una, con tante famiglie.
Si analizzarono le strategie, si considerarono gli equilibri, si vagliarono le vecchie e le nuove alleanze, si esaminarono le possibilità per proiettarsi oltre i confini.
Le divergenze, per le quali scaturì lo scoppio della prima guerra di mafia, maturarono negli anni ’70.
In quel summit, a Montalto, le famiglie cercavano un accordo per il futuro.
La ‘ndrangheta, a quel tempo, esisteva già da tanto, ma poteva ancora contare su un alone molto nebuloso.
Si conosceva poco di essa e per questo motivo, tutto o quasi, filava liscio.
Gli affari andavano a meraviglia: traffico di sigarette, le “bionde”; accaparramento degli appalti pubblici dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, del raddoppio ferroviario, del porto di Gioia Tauro; c’erano i primi sequestri di persona a scopo estorsivo cui, gran parte del ricavato, veniva investito in armi e droga.
Tutto era sincronizzato, e quando qualcosa s’inceppava ci pensava la lupara a sbrogliare la matassa.
Le cosche della ‘ndrangheta si preparavano a scalzare i fratelli siciliani; proprio a seguito di un conflitto che sarà combattuto negli anni a venire nel nord-ovest d’Italia. Alla conquista di Milano, centro dell’economia, crocevia e cuore dell’Europa.
Quella mattina, però, qualcosa cambiò. Lo scirocco toglieva il respiro. Lungo i sentieri dell’Aspromonte un manipolo di uomini della Legge saliva in silenzio sull’altopiano di Montalto.
In essi, di certo, c’era un sentimento misto di diffidenza e speranza che potessero divenire eroi del repulisti definitivo sull’Aspromonte. Non sarebbe stata un’impresa di facciata. Partirono da Reggio Calabria, con tre automezzi, quattro sottufficiali e sedici agenti di Pubblica Sicurezza, nonché quattro militari dell’Arma dei Carabinieri.
Erano in tutto 24. Erano pochi, ma si trattò di una scelta inevitabile. Il convoglio giunse a Montalto quando erano da poco passate le dieci.
Abbandonati gli automezzi, Poliziotti e Carabinieri avanzarono a piedi imbattendosi in decine e decine di autovetture, disposte disordinatamente nella boscaglia.
Non c’era dubbio, la soffiata era sincera.
Vi erano tante sentinelle, giovani soprattutto. Questurini e militi ebbero facilmente la meglio sulle “vedette” e, continuando la marcia di avvicinamento, si ritrovarono a sorprendere i boss mentre erano radunati.
Fu un’operazione lampo.
Essi, in un primo momento, non si accorsero dell’invadente nuova presenza perché impegnati a discutere animosamente di questioni risultati determinanti e condizionanti per le sorti ed il futuro di Reggio e Provincia.
Quel giorno, le Forze dell’Ordine “scoprirono” la ‘ndrangheta e la portarono, per la prima volta nella storia, all’attenzione di tutti.
Dal blitz di Montalto, infatti, scaturì il processo a carico di 72 imputati accusati di diversi reati, tra cui l’associazione a delinquere (quella mafiosa non esisteva ancora).
Fu il primo maxi-processo alla ‘ndrangheta. “Era solo una pacifica riunione tra onesti cittadini”, diranno gli avvocati difensori. “Cercavamo funghi”, si difenderanno gli imputati.
Precisamente, quando scattò il blitz, in quella mattina, non c’era nulla di pacifico.
Lì era davvero in corso un summit di tutte le cosche della provincia.
In molti mafiosi si diedero alla fuga, riuscirono a farla franca, dileguandosi tra felci e anfratti; altri impugnarono le armi e aprirono il fuoco. MA UNA SESSANTINA DI LORO, TRA CUI PEPPE ZAPPIA, BOSS DI SAN MARTINO, CAPO DELLA FEDERAZIONE DELLE COSCHE E PRESIDENTE DI QUELLA RIUNIONE, FINÌ IN MANETTE.
Fu la prima, vera, retata contro la ‘ndrangheta.
L’operazione si concluse con un ottimo risultato conseguito dagli inquirenti.
Ma toghe, arringhe, carta bollata, giornali e telegiornali, opinione pubblica, ricorsi e appelli, come accade ancora oggi, ribaltarono il tavolo.
La retata, dal punto di vista pratico, si rivelò una vittoria di Pirro. Le indagini giudiziarie, i processi e le conseguenti sentenze non indebolirono la ‘ndrangheta.
Certamente non svilirono la capacità ed il valore di quell’azione di polizia che iniziò a contribuire a far luce su una feroce e potente organizzazione criminale.
Della caratura criminale di massimo rilievo di “Peppe Zappia”, capo bastone della cosca di San Martino, non può evidentemente dubitarsi atteso che, nell’informativa riportata, veniva addirittura indicato come “capo della federazione delle cosche” e Presidente dell’assemblea tenuta a Polsi.
Anche in questa indagine è peraltro emerso inconfutabilmente il ruolo di assoluto rilievo avuto nel passato da Zappia Giuseppe.
Nel corso di un colloquio infatti registrato all’interno del veicolo tipo Suzuki Vitara (intercettazione ambientale nr. 419 del 31.03.2011), intercorso tra HANOMAN Pasquale, PANUCCIO Giuseppe e MERLINO Gaetano, i tre discutevano dei summit di ‘ndrangheta che molti anni prima si tenevano in contrada Mela e che erano presieduti proprio da ZAPPIA Giuseppe
HANOMAN: | Eravate voi, Ciccio DE BARTOLO, la buonanima di Peppe ZAPPIA, la buonanima di mio nonno, quando scendevano qua sotto alla MELA, non vi ricordate quando ci mettevate a fare il palo (vigilanza)? |
Quanto alla figura di Maio Michele (attuale Capo Società, figlio di Maio Francesco e Hanaman Filippa), già in data 10 aprile 2006, relazionava la Stazione dei Carabinieri di San Martino di Taurianova al Comando Provinciale R.O.N.I di Reggio Calabria, segnalando come l’uomo avesse sempre avuto frequentazioni con ambienti malavitosi locali.
I Carabinieri lo indicavano come inizialmente affiliato alla cosca Cianci, operante in quel centro, contrapposta ad altra famiglia antagonista per il controllo del territorio, ovvero quella degli Zappia, coinvolte in una guerra di mafia negli anni ’70.
Il fratello di Maio Michele, Maio Domenico, classe 1938, venne ucciso a colpi di fucile calibro 12 in contrada Mela in data 29.04.1997.
L’appartenenza ad ambiente malavitoso è stata desunta dai rapporti di frequentazione con Cianci Giuseppe (nato a Taurianova l’11 maggio 1959) ex capo dell’omonima cosca Cianci, unitamente ai di lui fratelli Cianci Domenico e Damiano.
E frequentazioni sono state altresì registrate con le sorelle Zappia Teresa (nata a Taurianova il 10 marzo 1970) e Zappia Maria Concetta (nata a Taurianova il 26 luglio 1962), entrambe arrestate e poi condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione di estorsioni e danneggiamenti.
In quella operazione, che portò all’arresto delle due donne, furono tratti in arresto e successivamente condannati, sempre per associazione a delinquere di stampo mafioso, Hanoman Pasquale (nato a Taurianova il 5 dicembre 1965) e Hanoman Martino (nato a Taurianova il 18 marzo 1971) parenti di Maio Michele e con i quali quest’ultimo è stato spesso notato in compagnia.
Peraltro risultano dei controlli di Maio Michele anche con Ascone Vincenzo (nato a Taurianova il 22 luglio 1938) ora deceduto, ex capo bastone della famiglia mafiosa operante nel territorio di Amato di Taurianova.
Occorre però illustrare brevemente come la famiglia Cianci ha avuto accesso al potere nel piccolo centro di San Martino di Taurianova, finendo per contrapporsi all’originario unico gruppo criminale esistente ovvero la famiglia Zappia.
Nei primi anni ’70, il centro di potere e di controllo del territorio di San Martino era per l’appunto rappresentato dalle famiglie Zappia-Carrozza denominata “Onorata Sanità”.
A questa organizzazione criminale, che costituiva un po’ la vecchia mafia, pian piano si affiancò, in termini antagonistici, una nuova articolazione mafiosa fatta di nuove leve, denominata “La Bastarda”, di cui facevano parte le famiglie Cianci-Chirico-Scarfò-Ciccone, che, grazie all’ausilio fornito da altri clan, quale quello della famiglia Avignone, dopo una cruenta lotta, che costò la vita a numerosi affiliati di entrambe le cosche, ascese al potere.
L’inizio del disaccordo è da individuarsi nel fatto che la c.d “Bastarda” aveva sostituito la vecchia mafia rivolgendo numerose estorsioni a piccoli e grandi imprenditori nonché professionisti.
Da tale contrasto si originò per l’appunto un periodo di belligeranza sanguinaria che vide coinvolti, in una recrudescenza di scontri, anche i nuovi clan degli altri centri della Piana che non tolleravano i vecchi ed immobili capi bastone.
Fu nell’anno 1976 che, dopo una serie di omicidi, la Bastarda riuscì ad imporsi e la famiglia più forte e che emerse fu quella dei Cianci, fra i cui componenti si erano distinti i fratelli Damiano e Domenico, che tra l’altro, in data 1 aprile 1977, furono coautori, unitamente ad esponenti del clan Avignone, della “Strage di Razzà” ove persero la vita anche due militari in servizio presso la Compagnia dei Carabinieri di Taurianova.
Per questa triste pagina venne condannato solo Cianci Domenico.
La prova “giudiziaria” dell’esistenza di un’organizzazione criminale nel territorio di San Martino di Taurianova è rappresentata dalla sentenza n. 145 emessa dal Tribunale Collegiale di Palmi in data 7 marzo 1987 e depositata in data 14 settembre 1987 (nei confronti di CIANCI Domenico + 9 imputati di “associazione per delinquere aggravata”, per essersi associati tra loro mediante costituzione di una cosca mafiosa denominata Cosca Cianci, avente per scopo connaturato e programmato (nuova mafia) la esecuzione di omicidi, estorsioni, danneggiamenti mediante impiego di esplosivi, detenzione e porto di esplosivi, armi, munizioni e sequestri di persona. In Taurianova, sino al 30.10.1980).
Nella sentenza si legge testualmente:
“…Giudica il Collegio che deve considerarsi acquisita la prova dell’esistenza di un’organizzazione criminale mafiosa nel territorio di San Martino di Taurianova.
Essa è costituita:
– dalla lunga sequela di delitti di sangue di cui si tratta nel rapporto n. 425, non spiegabile altrimenti che con la lotta fra due bande organizzate;
– dalla natura e dalla frequenza dei delitti di cui trattano i rapporti n. 170 e 414 (danneggiamenti, attentati, intimidazioni)
– dalla natura dei delitti subiti da Rossi Nicola (cfr rapporto f. 48 del 1° volume e in volume 15 il punto 5)
– dalla uccisione di Nasso Vittorio, cronologicamente connessa alla sua denuncia di atti intimidatori ed estorsivi di inequivoca marca mafiosa.
Queste prove coprono un arco di tempo che sostanzialmente va dal 1973 (attentati al Nasso) al 1978 (sentenza cosiddetta dei “sessanta”)”.
La sentenza in disamina, pur assolvendo la maggior parte delle persone imputate, delineava con precisione i contorni e certificava l’esistenza della ‘ndrangheta nel centro di San Martino di Taurianova almeno dal 1977 (anno della famosa “strage di Contrada Razzà”, in cui persero la vita due Carabinieri per mano dei fratelli CIANCI Domenico e CIANCI Damiano, zii paterni dell’odierno indagato CIANCI Domenico).
Questi alcuni dei passaggi salienti:
– L’assunto dei denuncianti, fatto proprio dall’accusa, è che in San Martino di Taurianova abbia operato, sino a tutto l’ottobre 1980, una cosca mafiosa, denominata “La Bastarda”, capeggiata dai fratelli CIANCI (padre e zii dell’indagato CIANCI Domenico) e da CALABRESE Martino…;
– Ciò rilevato, al fine di puntualizzare il quadro oggettivo degli elementi di accusa, giudica il collegio che deve considerarsi acquisita la prova della esistenza di una organizzazione criminale mafiosa nel territorio di San Martino di Taurianova;
– La più antica prova storica dell’appartenenza di CIANCI Damiano e CALABRESE Martino alla associazione mafiosa “La Bastarda” si rinviene nei fatti delittuosi denunciati con il rapporto n. 170 redatto dai CC il 28.03.1974, che dettero luogo a un processo dinnanzi alla Corte di Assise di Palmi, conclusosi con la condanna, tra gli altri, anche dei predetti Cianci e Calabrese.
Queste informazioni consentono di riempire ulteriormente di significato i dati emersi nell’odierna indagine.
Al riguardo si anticipano e sottolineano i seguenti passaggi delle intercettazioni ambientali effettuate:
- Intercettazione ambientale veicolare Suzuki Vitara nr. 162 del 14.02.2011: HANOMAN Pasquale e MAIO Pasquale discutono del fatto che le famiglie mafiose degli ZAPPIA e dei CIANCI “esistono da sempre”.
MAIO: | Come cazzo fanno? Io non mi regolo, gli ZAPPIA ci sono stati sempre, di che mondo in mondo, ci sono state sempre gli ZAPPIA. |
HANOMAN: | Ed i CIANCI vedi che pure ci sono stati da sempre. |
- Intercettazione ambientale veicolare Suzuki Vitara nr. 638 del 07.04.2011: PANUCCIO Giuseppe riferisce ad HANOMAN Pasquale che FEO Natale e suo padre appartenevano all’associazione ‘ndranghetista denominata “La Bastarda”.
PEPPINO: | Sono “vavusi”(presuntuosi), nati, cresciuti e domiciliati, come erano “vavusi”(presuntuosi), i loro padri, eh…, suo padre era nella “bastarda” erano, ti pare che erano? Io lo stavo portando per la …INC…, prima che lo scassavano, poi lo hanno arrestato ed è finita, lo stavo portando nella galera,…INC… perché a me mi rispettarono dal primo momento che mi misero nella “Società”; |
La famiglia Cianci quindi raggiunse in quell’epoca il massimo prestigio mafioso, dal momento che i due fratelli Cianci Domenico e Cianci Damiano, ricercati per la strage di contrada Razzà, riuscirono a vivere per diverso tempo in stato di clandestinità.
Nei primi anni ’80, con l’arresto dei due germani Domenico e Damiano Cianci, il governo del clan passò a Cianci Gaetano.
Grazie all’intervento di altri clan più prestigiosi della “Piana”, tra cui i Piromalli di Gioia Tauro e i Castellace di Oppido Mamertina, venne stipulato una sorta di armistizio e ripristinata, sia pure solo apparentemente, la pax mafiosa tra gli Zappia e i Cianci.
L’odio acerrimo tra le due famiglie non si placò mai anche a causa del cospicuo numero di morti registrato nell’una e nell’altra fazione durante la battaglia.
Nell’aprile 1993, infatti, ebbe inizio una nuova guerra di mafia per l’accaparramento del potere con l’omicidio eccellente di Cianci Gaetano, crivellato con sanguinaria ferocia, a colpi di fucile calibro 12. (nella comunicazione di notizia di reato nr. 3/35-1 datata 19.05.1993 del N.O.R.M. di Taurianova, relativa all’omicidio di Cianci Gaetano classe 1956, padre dell’odierno indagato Cianci Domenico, avvenuto in San Martino in data 13.04.1993 e al tentato omicidio di Garreffa Natale classe 1959 e di Garreffa Pasquale classe 1938, avvenuti rispettivamente in data 26.04.1993 e 04.05.1993, pur non individuandosi gli autori dei tre delitti, si delineava come gli stessi fossero maturati nell’ambito della “guerra” di ‘ndrangheta che in quegli anni insanguinò il Comune di Taurianova e le zone limitrofe).
Anche nella comunicazione di notizia di reato nr. 2348 datata 30.04.1997 redatta dal Commissariato di Taurianova relativa all’omicidio di Maio Domenico classe 1938 (fratello dell’odierno indagato Maio Michele classe 1953), avvenuto nelle campagne di Contrada Mela in data 29.04.1997, pur non individuandosi l’autore del delitto, si delineava come lo stesso fosse maturato nell’ambito di contrasti sorti tra la famiglia mafiosa dei Maio di San Martino e quella dei Mangano di Taurianova.
Dichiarata così apertamente la guerra, dal piccolo centro di San Martino si allontanarono, proprio in quel periodo, vari appartenenti ai clan contrapposti, tra cui Cianci Giuseppe, Garreffa Natale, Zappia Giuseppe classe 1969, Zappia Vincenzo, classe 1965, e Alessi Martino classe 1969.
L’esistenza della cosca “Zappia” in San Martino di Taurianova è stata invece affermata dalla sentenza n. 327/2000 Registro Sentenze, emessa in data 25 ottobre 2000 dal G.u.p. di Reggio Calabria, nell’ambito del proc. n. 64/1999 R.G.N.R. DDA, con la quale è stata riconosciuta l’appartenenza alla stessa di Zappia Vincenzo classe 1965, Zappia Teresa classe 1970, Hanoman Pasquale classe 1965 e Hanoman Martino classe 1971.
L’imputazione per tutti (peraltro in concorso con Lamanna Vincenzo e Zappia Giuseppe, che all’esito del giudizio però furono assolti) era “del delitto di cui agli artt. 416 bis c.p.p. commi 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8 c.p., per aver fatto parte in concorso con Zappia Giuseppe (classe 1912), Zappia Giuseppe (classe 1939), Zappia Vincenzo Rocco (classe 1941) e Carpentiere Grazia (tutti deceduti) e con altre persone allo stato ignote- di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, denominata cosca “Zappia”, operante nella zona di San Martino di Taurianova e località limitrofe; cosca alleata operativamente a quella degli Avignone di Cittanova, e, successivamente, a quella dei Molè-Piromalli di Gioia Tauro (nonché contrapposta a quella dei Cianci) e che, avvalendosi della condizione di assoggettamento ed omertà derivante dal’organizzazione medesima, poneva in essere una serie indeterminata di delitti, specie contro la persona ed il patrimonio, anche allo scopo di acquisire in maniera diretta o indiretta il controllo delle attività economiche della zona. Fatto aggravato per i soli Zappia Giuseppe Vincenzo, Zappia Teresa e Zappia Maria Concetta per essere capi, promotori ed organizzatori della organizzazione in questione. Fatto aggravato per tutti i partecipi per essere l’organizzazione in questione armata. Fatto commesso in San Martino di Taurianova e località limitrofe dagli anni ’70 fino a tutto l’ottobre 1999 (data degli ultimi accertamenti di p.g sull’operatività della cosca in oggetto. Accertato in data 15 luglio 1999”.
Hanoman Pasquale, peraltro, in quel procedimento, in concorso con Zappia Teresa e Zappia Maria Concetta, era stato tratto a giudizo per rispondere anche di un tentativo di estorsione aggravato dall’utilizzo del metodo mafioso, ai danni di Cutrì Antonio, titolare della cooperativa agricola Agrotirrena, con sede in San Martino di Taurianova, commesso tra il settembre e l’ottobre 1997.
Informazioni rilevanti possono poi desumersi dallo stralcio della relazione della Commissione di accesso al Comune di Taurianova 22.03.2009, insediata al fine di verificare il condizionamento dell’amministrazione Comunale da parte di organizzazione mafiose autoctone.
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