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L’attività politico-sindacale di Antonio Armino in un saggio di Pino Ippolito

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Recensione di Giosofatto Pangallo

L’attività politico-sindacale di Antonio Armino in un saggio di Pino Ippolito

Recensione di Giosofatto Pangallo

 

 

Ho letto il libro dell’ingegnere Pino Ippolito, Azionismo e Sindacato. Vita di Antonio Armino, prefazione di Antonio Alosco, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 164, € 16, tutto d’un fiato, in men che non si pensi e non si dica, con tanto interesse e con la massima attenzione.

Ho gustato la sua prosa forbita e scorrevole. Soprattutto, mi ha entusiasmato il contenuto del saggio, che si sofferma su un periodo abbastanza travagliato della nostra storia, che abbraccia gli anni che vanno dalla fine degli anni ’20 alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, coincidente perlopiù con l’attività politica e sindacale del dottor Antonio Armino, di cui Ippolito è nipote per parte della mamma.

Teatro, poco conosciuto, di tale attività è Napoli, città nella quale Armino si trasferisce da Roma, dove studia per laurearsi in Legge, agli inizi degli anni Trenta, per sfuggire alla polizia politica fascista, che già nel 1926 lo ha segnalato, in un rapporto, come “fervente antifascista”. Per il Regime, peraltro, proprio quella è l’epoca del grande consenso.

Dopo il delitto Matteotti, infatti, nel 1924, Armino è entrato negli ambienti clandestini romani, svolgendo un’intensa attività sovversiva, in contatto anche con i deputati Giovanni Amendola, Di Cesarò, capo del Partito democratico sociale italiano, e del catanzarese Enrico Molè.

Antonio Armino è nato a Palmi nel 1901 da una famiglia originaria di Melicuccà, paese, in provincia di Reggio Calabria, al quale è rimasto legato non solo per gli affetti familiari, ma anche per l’attaccamento a quella terra.

A Napoli entra subito in contatto con gli ambienti politici antifascisti di Libera Italia, aderendo al movimento Giustizia e Libertà, che si rifà al Socialismo Liberale di Carlo Rosselli, e successivamente, nella metà del 1942, al Partito d’Azione, che a Napoli si trasforma in Centro Meridionale, con competenza su tutto il Mezzogiorno e le isole, divenendo il braccio destro dell’avv. Pasquale Schiano, nominato segretario generale, con cui è stato protagonista principale del Partito nella città partenopea.

In questo contesto, conosce e frequenta tante importanti personalità politiche dell’antifascismo clandestino italiano, quali Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Leo Valiani, Riccardo Lombardi, Guido Calogero, Bruno Visentini, Michele Cifarelli, Tristano Codignola.

Svolge la sua attività politica, sindacale e giornalistica a fianco di uomini del calibro di Francesco De Martino, in seguito segretario nazionale del Partito socialista italiano, cui ha aderito dopo lo scioglimento del Partito d’Azione, e vice presidente del Consiglio dei ministri nei governi di Centro-sinistra degli anni ’70 del Novecento, dell’avv. Pasquale Schiano, che poi aderisce al PSLI e, quindi, al PSDI di Giuseppe Saragat, del dott. Alberto Cianca, che aderisce al PSI. Assieme a loro è stato candidato nel 1946, per il Partito d’Azione, all’Assemblea Costituente, per la circoscrizione di Napoli-Caserta.

È stato in contatto anche con altri intellettuali antifascisti meridionali, quali lo scrittore Emilio Lussu, i meridionalisti Guido Dorso e Gaetano Salvemini, il giornalista Emilio Scaglione, lo storico Pietro Lezzi, Claudio Ferri, Adriano Reale, Pepe Ettore, Dino Gentili, il magistrato calabrese Enrico Caria, i cosentini Nino Woditzka, Marcavallo e Pappacoda, il reggino Enrico Putortì e tante altre personalità di spicco dell’Azionismo italiano.

A partire dal mese di marzo 1944 assume la direzione del giornale del Centro Meridionale “L’Azione”, con cui s’intende divulgare il programma e irradiare gli ideali dell’Azionismo; suo vice direttore in questa esperienza è Guido Macera.

I suoi editoriali, di cui alcuni sono stati opportunamente riportati in un capitolo del libro suddetto, denotano la sua ferma intransigenza civile e politica verso il fascismo, la monarchia e il governo Badoglio.

Da essi traspare evidente il rigore morale, la dirittura politica e la sua vasta cultura, nonché il suo spessore di uomo d’azione, a tutti gli effetti, e d’intellettuale impegnato, lontano dai compromessi a da comportamenti minimalistici e opportunistici. Egli, così, dà anche, senza essere supponente, lezioni di dignità e di compostezza.

La sua è indubbiamente una politica umanitaria e libertaria di matrice e cultura eminentemente socialista, che mira anche ad affrontare e a risolvere il problema di un’effettiva giustizia sociale.

Tali atteggiamenti ha avuto anche nei suoi incarichi sindacali e nelle conseguenti lotte, che hanno caratterizzato l’indomani della Liberazione, adoperandosi sempre, a volte anche faticosamente, a riorganizzare il mondo del lavoro e a raggiungere la sua unità sindacale.

Il dott. Antonio Armino, poco conosciuto in Calabria, è stato l’unico calabrese membro della Consulta Nazionale, nominato, nel mese di settembre 1945, da Ferruccio Parri, divenuto Presidente del Consiglio dei ministri dopo la liberazione di Milano, su designazione del Partito d’Azione; egli rimane in carica fino all’elezione dell’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946.

Molti Azionisti, dopo lo scioglimento del Partito, hanno aderito al PSI, al PRI e al PDSI.

A metà degli anni ’50 del XX secolo, Armino ravvisa nel nuovo clima politico tali degenerazioni che lo spingono ad affermare, con la sua solita fermezza, “mi ripugna di avere come compagni di cordata certi individui”, anche se aggiunge “non abbandonerò la lotta politica; mi batterò con un nuovo impegno per tutti quegli ideali per i quali ho sempre sacrificato, senza esitazioni o debolezze, tutta la mia tormentata esistenza; riprenderò l’azione in difesa dei lavoratori”.

Nel 1956, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere.

Nell’ottobre dello stesso anno, di ritorno da Copenhagen, dove ha partecipato a un convegno sindacale internazionale, muore a Napoli, all’età di 55 anni, compianto dai vecchi compagni di lotta politica e sindacale.

La salma è stata traslata nel cimitero di Melicuccà nella tomba di famiglia.

Il libro dell’ing. Ippolito, che fa piena luce di tanti avvenimenti sconosciuti, almeno a tanta parte della popolazione, e per l’interessante e inedita pagina storico-biografica che presenta, merita di essere letto e adeguatamente diffuso.

redazione@approdonews.it