Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

TAURIANOVA (RC), VENERDì 22 NOVEMBRE 2024

Torna su

Torna su

 
 

L’avvocato Carmelo Serravalle da Jatrinoli Una vera storia paesana romanzata ricompresa dal giurista Giovanni Cardona nella sua opera Stat Rosa Pristina Nomine

L’avvocato Carmelo Serravalle da Jatrinoli Una vera storia paesana romanzata ricompresa dal giurista Giovanni Cardona nella sua opera Stat Rosa Pristina Nomine
Testo-
Testo+
Commenta
Stampa

Alla fine dell’ottocento, ad ogni banchetto matrimoniale o per rendere il commiato a nobili paesani o fanciulle rapite nel fiore degli anni, oratore fisso era il dott. Carmelo Serravalle da Jatrinoli.

Al termine del discorso riscuoteva il plauso da tutti i presenti che lo esortavano a licenziarsi dal Regio Archivio di Stato di Reggio Calabria, per intraprendere la professione di avvocato, che avrebbe esercitato in maniera veramente brillante, essendo oratore nato.

Tali pressanti sollecitazioni erano sentite e costanti e tanto lo esaltarono finché un giorno presentò le dimissioni da impiegato del Regio Archivio di Stato di Reggio Calabria, senza godere di alcuna pensione.

L’inizio della sua attività di avvocato fu segnato da clamorosi successi e molte volte al termine di gravissimi processi per associazione per delinquere, i parenti degli imputati che erano stati assolti dalla giuria popolare, mercé la di lui efficace difesa, per esternare la propria riconoscenza, lo issavano in alto portandolo in trionfo nell’aula della Corte di Assise di Catanzaro.

Improvvisamente la sua stella cominciò a declinare.

I motivi erano da ricercarsi, nella riforma della Corte di Assise che portò all’abolizione della giuria popolare e nel fatto che egli basava la sua difesa solo sugli effetti dell’arte oratoria, mentre poco spazio destinava alla scienza giuridica, l’unica arma che riesce, se adoperata con abilità, a risolvere complicati casi giudiziari.

I suoi clienti, che nei primi anni della sua professione costituivano una nutrita schiera proveniente da tutta la piana di Palmi, cominciarono progressivamente ad assottigliarsi di numero, finché divennero occasionali, procurati a mezzo dei soliti mediatori che bazzicavano ogni mattina negli anfratti prospicienti il carcere di Radicena e di Cittanova.

Quando il suo declino professionale toccò il fondo, per sopravvivere fece ricorso all’aiuto dei colleghi, ai quali si rivolgeva chiedendo un caffè o poche lire.

A volte per pranzare aguzzava l’ingegno: si recava al ristorante annesso al locale Circolo dei nobili, consumava assieme alla sorella un lauto banchetto ed alla fine con voce stentoria diceva al cameriere: “per cortesia ponga la spesa sul conto di mio cugino l’Onorevole Filippo Accorinti dei Conti di Sperlalunga, consigliere della Deputazione Provinciale”.

Questi non disdicendo questa fasulla parentela, anzi, divertito della trovata geniale dell’avvocato Serravalle, pagava sempre di buona voglia.

D’altra parte il ricorso a tali banchetti a sbafo erano saltuari e distanziati fra loro.

Nell’avvocato Serravalle la virtù che spiccava era la carità.

Quando la sua professione era in auge, egli, che abitava in via Pozzo, in un palazzo che serbava le vestigia di un fasto principesco, andava a visitare quei poveri che vivevano in tuguri nei vicini vicoletti adiacenti per dare loro denaro e cibo.

Riservava però esclusivamente ai più vecchi fra i poveri, una tazza giornaliera di caffè che mesceva in una brocca.

Tutti i poveri da lui beneficati, gli si erano affezionati e lo ringraziavano con le lacrime agli occhi e gli baciavano la mano.

Quando la sua stella tramontò definitivamente, non volle venire meno al rituale del caffè a favore dei più vecchi.

Al fine di procurarsi il quantitativo necessario alla bisogna, chiedeva ai colleghi piccole somme onde continuare la sua opera caritatevole.

Sennonché le pressanti richieste che rivolgeva agli avvocati, mortificavano indubbiamente la dignità della professione forense, finché un giorno il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palmi decise di assegnargli un vitalizio a condizione che egli non mettesse più piede nel palazzo di Giustizia.

Non mancò all’impegno assunto, ma continuò a dividere con i poveri i soldi dell’assegno mensile.

Il suo obolo sicuramente sarà stato accetto a Dio perché proveniva da un povero ed era destinato a creature più povere.