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Le dimissioni del Governatore Toti ed il principio costituzionale di imparzialità

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Secondo alcuni il Governatore della Liguria Toti, imputato di gravi reati tra cui corruzione, non avrebbe alcun obbligo di dimettersi fino a quando non ci sarà una sentenza penale, al momento solo eventuale, di condanna definitiva. Fino ad allora Toti deve presumersi innocente come vuole la Costituzione all’art. 27 per cui le sue dimissioni sono tutt’altro che obbligatorie.
Questa tesi non può essere condivisa perché i presupposti per le dimissioni ci sono già tutti a prescindere dall’esito del processo penale e cioè anche se Toti risulterà penalmente innocente.
È già pacifico che Toti abbia chiesto ed ottenuto finanziamenti per il suo partito da un imprenditore col quale la Regione Liguria ha da tempo rapporti di concessione amministrativa di grande rilievo economico al Porto di Genova. Egli ha dato impulso a procedimenti amministrativi diretti a deliberare su tali rapporti di concessione.
Ciò facendo Toti ha violato il principio di imparzialità di cui all’art. 97 della Costituzione ed il correlativo divieto di conflitto di interessi che invece devono essere osservati da qualsiasi persona si trovi ad esercitare pubbliche funzioni. Infatti, i canoni dell’imparzialità e del divieto di conflitto di interessi sono collegati alla posizione di garanzia del Governatore quale amministratore pubblico; essi prescindono dall’intenzione di favorire o meno una persona nonché dalla presenza o meno di un atto corruttivo; essi scattano per il semplice fatto che esiste una relazione tra i due soggetti (in questo caso finanziatore e finanziato) che, anche solo potenzialmente, può influenzare l’esito dei procedimenti amministrativi.
Questa relazione, beninteso, può essere anche indiretta per cui non rileva che ad incassare il finanziamento non sia stato il Governatore bensì il suo partito poiché, comunque, l’interesse sussiste ugualmente sia pure in modo mediato.
E nulla cambia quand’anche si dimostrasse che era perfettamente conforme a legittimità e ad interesse pubblico deliberare concessioni o proroghe di concessioni all’imprenditore in questione. Il Governatore, infatti, dati i rapporti di soggetto finanziato dall’imprenditore, avrebbe comunque dovuto astenersi dal procedimento sia nella fase di impulso che in quella istruttoria o deliberante. E ciò non è avvenuto.
Dal che discende, per ultimo, che a nulla rileva la circostanza che il finanziamento sia stato pubblicamente registrato, poiché ciò non fa venire meno l’obbligo di imparzialità del Governatore in quanto si tratta di un obbligo incondizionato cioè che non si estingue se avviene con la modalità della registrazione.
Il principio di imparzialità, insomma, è un principio cardine del nostro ordinamento e non è un caso che nella nostra Costituzione lo troviamo identico a proposito dei pubblici funzionari (art. 97) e dei magistrati (art.111) cioè delle figure che esercitano due dei tre poteri fondamentali (giudiziario ed amministrativo) in cui si articola il nostro ordinamento. Il potere legislativo, pur osservando il principio di uguaglianza, può fare leggi favorevoli ad alcuni (es.: legislazione favorevole a persone prive di protezione sociale) e non ad altri col solo baluardo del rispetto della Costituzione. Ma funzionari e magistrati no, quando recedono dall’imparzialità violano la legge, non importa se legge penale o solo amministrativa.
E, come al solito, la nostra Costituzione sull’argomento della imparzialità ha già detto tutto per cui le numerose leggi successive (art. 1 legge 241/90 sull’attività amministrativa, art. 16 Nuovo Codice Appalti D. Lgs. 36/2023, codice di comportamento dei pubblici dipendenti, cause di astensione del giudice, ecc.) specificano soltanto ciò che è già chiaro fin dal 1948 e che va applicato anche solo per buon senso.
Se Toti, come ci auguriamo per lui, non è un corrotto, certamente è uno che non ha capito o non ha voluto capire niente della Costituzione e del principio di imparzialità che gli impedisce, quale amministratore pubblico, di adottare provvedimenti che riguardano una persona che finanzia lui o il suo partito.
Basta solo questo perché si dimetta.
Ernesto Mancini

P.S.: recentemente alcuni manager di Stato, cioè pubblici amministratori, sono saliti su un palco di partito (Fratelli d’Italia) ed hanno esibito magliette attinenti a slogan di quel partito. Un altro manager, direttore Rai, sullo stesso palco ha candidamente dichiarato di fare parte della compagnia (ora è sotto procedimento disciplinare in Rai). Anche costoro, manager di Stato, forse non conoscono il principio costituzionale di imparzialità cui sono tenuti quando sono in carica, forse non lo hanno capito o forse se ne infischiano. Così l’Italia va a sbattere.