LE FESTE DI MADONNA: la Madonna di Polsi, la Madonna della Montagna, la Madonna della Consolazione Breve riflessione della dottoressa Maria Giovanna Fava sulla festa della Madonna tra rito, storia e cultura
Nella provincia reggina, nel periodo compreso tra la fine di agosto ed entro la metà di settembre, si concentra ogni anno la massima espressione del trionfo della Fede di un popolo dai tratti folkloristici e spirituali talora complessi ma allo stesso tempo particolari, quello reggino appunto, che si sposta quasi in transumanza, con un ritmo di migrazione stagionale cadenzato e controllato sotto le note delle litanie cantate, dalle aspre montagne della frazione di Polsi a San Luca, nel cuore dell’Aspromonte, alla verdeggiante Piana delle misteriose distese dei secolari uliveti, nel centro di Taurianova, fino alla luminosa costa tirrenica cittadina di Reggio Calabria , con le sue tipiche sfumature, che vanno dalla cerulea acquamarina al blu zaffiro della tanta decantata Costa Viola omerica.
Il passaggio delle consegne da un Santuario all’altro, inizio e fine del rito mariano, sembra ricordare i contenuti angusti dei versi di Corrado Alvaro che già conosceva nell’ombra delle sue parole il senso intriso di tradizioni, dolori, speranze e preghiere di un popolo così afflitto e allo stesso tempo dignitoso, così come Egli cantava: “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia” …
Le tre Madonne, di seguito si alternano.
Apre lo scenario sacro La Madonna di Polsi:
un posto disagiato, nel cuore dell’Aspromonte, spesso legato a fenomeni pagani come l’uso del dimorare accampati e la macellazione dei capretti il cui sangue scorre nelle fiumare attigue; la rituale Carovana e la Novena delle genti di Calabria; in una rupe, difficile ed erta, a volte ricordata nelle cronache giudiziarie per l’investitura criminale di riti ortodossi e profanatori, ma anch’essa ricca di leggenda popolare e di storia spirituale, come la ricordata apparizione della Beata Vergine al pastore in cerca del suo toro smarrito. Il pastore ritrova il toro che ha dissotterrato una Croce e gli appare la Santa che gli indica di volere che in quel luogo si erga una chiesa per diffondere le sue grazie ai devoti che andranno a trovarla. La storia della Santa Croce e la bara del Principino di Roccella. Su tutto questo, regna ancora, tra il rumore del ruscello e l’odore della terra, il silenzio della preghiera dei frati bizantini che per primi si ritirarono a custodia del posto.
Si affaccia sul Palco la musica che annuncia La Madonna della Montagna:
nella verdeggiante Piana in epoca settecentesca si intensifica il nuovo Culto e si avvicendano i solenni festeggiamenti, più austeri e meno aspri del precedente rito, con “U Mbitu” e l’accensione dei “Luppinazzi”. Con le fiamme alte nel cielo scuro del fuoco degli steli di lupini, si illumina la via alla popolazione a ritrovarsi come comunità religiosa e iniziare la festa in devozione della sua Madonna, raffigurata con il bue chinato ai piedi; inizia la Novena, si raccolgono la gente di chiesa e pure i pagani non disdegnano di avvicinarsi alle mura sacre; si parla, si discute, si stringono affari, si suona la ciarameda. Si gareggia con le Stelle votive, la più bella stella in dono a Maria, che illumina il suo popolo devoto e a cui elargisce grazie e a volte le nega. Anche qui, leggende, storie popolari e preghiere. Anche qui la Madonna che salva, come salvò il suo paese dal terremoto. La tormentosa bella statua di legno di pero, voluta dal medico dei poveri Vincenzo Sofia, che muove gli occhi per dare segno della sua vitalità, che allontana con la sua potenza i disastri tellurici e la malattia. Il Miracolo non è solo un canto, ma è la storia di questa Madonna. Così si erge un palco che resterà nei tempi a ricordare la musica di questa forte tradizione.
Si chiudono le quinte con l’ultima divina apparizione, La Madonna della Consolazione:
alla statua, subentra il dipinto, dai toni ombrosi del pennello cinquecentesco, confezionato grazie alla devozione della nobiltà locale, in occasione della tremenda peste che decimò la popolazione reggina e di cui Ella si fece messaggera di rinascita annunciando la fine dell’epidemia. La Madonna riparatrice e curatrice, la Consolatrice, che allontanò la forza distruttrice del terremoto del 1693 dalla sua eclettica cittadina. La Vara della Madonna che viene accompagnata dai suoi portatori prescelti, che spiccano per i fazzoletti amaranto, in un pellegrinaggio interno suggestivo, dall’Eremo alla Basilica, che ferma, immortala e congela ogni attimo e ogni trambusto cittadino, in un’unica orazione e nel grido” Evviva Maria”. La Vergine, qui, sorregge sempre il suo Figlio Gesù, ma accanto la sostengono San Francesco e Sant’Antonio, il libro della Bibbia e il Giglio della Teologia, e gli Angeli che li incoronano.
Tre culti, tre storie, un’unica raffigurazione comune, la Madonna, trionfante con in braccio o accanto il suo Bambino, che con l’incoronazione del popolo della sua effige, dimostra la sua superiore forza alla sua comunità di credenti e non, diramando una luce di grazia e di modello umano e spirituale, Lei donna forte e pura, Madre scelta e devota, Santa immacolata e sacrificata, nel momento del trionfo, in comunione eterna col suo popolo tramite suo Figlio, che mostra come unica via di salvezza.
Tre esempi di devozione appassionata, di flussi di devoti e credenti ma anche spesso di increduli che si convertono, di immigrati che ritornano dai posti più lontani solo per ricongiungersi al loro infantile passato di tradizione e culto.
Un pellegrinaggio di piedi e di cuori, un sussulto di momenti di gioia e dolori, alla ricerca della provvidenziale, seducente e premurosa carezza divina, di cui l’emozione spesso ognuno di noi nasconde in un piccolo reperto o santino e nei ricordi di una memoria passata sempre presente, illuminata al bagliore di una innocente candela che tutti accendiamo ancora o abbiamo acceso per chiedere di sciogliere i nodi della nostra incompresa vita.