Le schiave rumene, la magistratura orba, la demagogia di sinistra ed il solito razzismo del nord per un problema comune Ecco la verità raccontata da Antonio Giangrande
La verità raccontata da un’altra prospettiva contro i maestrini
dell’informazione, spesso di sinistra ed ammanicati con i magistrati. Ed i
leghisti ci sguazzano nella verità artefatta.
E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a
livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi,
raccolti in una collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che
siamo”, letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei
media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed
E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com, CreateSapce.com e
Google Libri.
Sul tema ho scritto “Uguaglianziopoli. L’Italia delle disuguaglianze”.
C’era una volta l’assistenzialismo, scrive Lanfranco Caminiti su “Il
Garantista”. Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un
federalismo secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha
sbomballato le palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il
vittimismo. Siamo stati vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia
in poi, e a un certo punto ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord
– e i trasferimenti di risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la
pressione fiscale e le camorre degli appalti pubblici – e l’unica difesa che
abbiamo frapposto è stata lo Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi
difensori dell’unità nazionale contro il leghismo. Noi, i meridionali,
quelli che il federalismo e il secessionismo l’avevano inventato e provato.
Noi, che dello Stato ce ne siamo sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo
votati. Partiti nazionali, destra e sinistra, sindaci cacicchi e
governatori, li abbiamo votati. Ci garantivano le “risorse pubbliche”.
Dicevano. Ci promettevano il rinascimento, il risorgimento, la resistenza.
Intanto però pagate. Come quelli del Nord. Facciamogli vedere. Anzi, di più.
La crisi economica del 2007 ha solo aggravato una situazione già
deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la classe media meridionale
“democratica” l’artefice di questo disastro, con la sua ideologia
statalista. Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono diventate
insopportabili, ora che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di sé, ora
se ne vanno. O mandano i loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di nuovo,
come sempre.
Non solo i cittadini meridionali sono tartassati, ma sono anche soggetti a
dei disservizi estenuanti. E con ciò accusati di essere evasori fiscali.
Eppure la verità che non si racconta è un’altra.
Economia Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive
Emanuela Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non
dovrebbero mai sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per
anni ci hanno raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è
finita con il diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto.
Storia di miseria e povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o
all’emigrazione, le due uniche alternative rimaste a “quel popolo di
straccioni” (come ci definì quella “simpatica” giornalista in un articolo
pubblicato su “Il Tempo” qualche anno fa). Eppure negli ultimi anni il
revisionismo del risorgimento ci sta aiutando a comprendere quanto lo
stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e funzionale ai vincitori di
quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia. Serviva (e serve tutt‘ora)
spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società hanno avuto bisogno di
creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio, così noi siamo
diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale razzista e
intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per scoprire che
spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo adesso, ad
esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di evasione
fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è così.
Ma quale Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione, scrive Vittorio
Daniele su “Il Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord. Questo è
quanto comunemente si pensa. Non è così, invece, secondo i dati della
Guardia di Finanza, analizzati da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra,
dell’Università di Catania, in uno studio di cui si è occupata anche la
stampa (Corriere Economia, del 13 ottobre 2014). I risultati degli
accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza mostrano come, nelle
regioni meridionali, la quota di reddito evaso, rispetto a quello
dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò nonostante il numero di
contribuenti meridionali controllati sia stato, in proporzione, maggiore.
La seconda considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due,
con un Nord virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia
è un paese unito dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del
Nord si sia evaso di più che al Sud non ha nulla a che vedere né con
l’etica, né con l’antropologia. Dipende, più realisticamente, da ragioni
economiche. L’evasione difficilmente può riguardare i salari, più facilmente
i profitti e i redditi d’impresa. E dove è più sviluppata l’attività
d’impresa? Come scrivevano gli economisti Franca Moro e Federico Pica, in un
saggio pubblicato qualche anno fa della Svimez: «Al Sud ci sono tanti
evasori per piccoli importi. Al Nord c’è un’evasione più organizzata e per
somme gigantesche». Quando si parla del Sud, pregiudizi e stereotipi
abbondano. Si pensa, così, che la propensione a evadere, a violare le norme,
se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto antropologico
caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e si osserva
la realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e
stereotipi quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e
quella di essere evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni
giorno e da più parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo
troppo se si cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della
realtà.
E poi sul caporalato al sud è una vera bufala.
Le schiave e la magistratura orba. Il caso delle schiave rumene è l’esempio
eclatante di come la magistratura si muova solo dietro alle telecamere. Come
mai le istituzioni nel palese nulla vedevano? Come mai le denunce presentate
sono state insabbiate? A volte si pende dalle labbra di chi ha verità
scontate, ma anche interessate.
“Se tua moglie non sta con me non vi pago”. Romene nel ragusano tra ricatti
e soprusi. Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne
ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di
rovinare il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi
sapevano e hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a quattro
anni fa. Cadute nel vuoto, scrive Antonello Mangano su “L’Espresso”. Risale
a quattro anni fa la denuncia di una coppia rumena al commissariato di
Vittoria. «Finché tua moglie non fa un giorno d’amore con me, non vi pago
gli arretrati». Il ricatto finisce nel verbale. Nulla di segreto, la
testimonianza si trova anche nel video “Solidal”, prodotto dalla Cgil e
reperibile in rete. Ma la denuncia cade nel vuoto, la coppia rimane senza
lavoro e va a vivere in un tugurio in campagna. Anche la Chiesa non fa
mancare il suo impegno. «Abbiamo accolto alcune donne rumene in stato di
gravidanza in parrocchia», racconta Padre Beniamino Sacco, il primo a
denunciare i “festini agricoli”. «Dicono che c’è il consenso della donna? In
stato di disagio economico non hai diritto a dire no. Si tratta di violenza.
La dignità di queste donne è offesa dall’atteggiamento di “padronanza”. C’è
chi pensa di poter usufruire della vita degli altri come vuole e quando
vuole».«Da 22 mesi aspettiamo un’ispezione in quell’azienda» conclude
Bellassai. «Registriamo troppa lentezza nella burocrazia», dice a l’Espresso
Emanuele Bellassai della cooperativa Proxima.
Tutti a stracciarsi le vesti per una risaputa verità di parte. Però
analizziamo le frasi è tra queste rileviamo la verità oggettiva.
Si evidenzia che, se fosse tutto vero, eventualmente tutti sapevano. Per la
gente comune passi, ma è inaccettabile che le istituzioni non si muovano.
Giustappunto sono pagate per effettuare le ispezioni e per indagare sulle
denunce presentate.
Di loro nessuno ne parla. Invece i media pronti a cavalcare l’ovvio.
“Se vuoi i soldi dammi tua moglie”. Ricatti come questo sono all’ordine del
giorno nel silenzio dei campi a Vittoria, in provincia di Ragusa, scrive
“Blitz Quotidiano”.
Schiave romene: La situazione è gravissima, adolescenti violentate e
costrette ad abortire. Prosegue la nostra inchiesta nell’inferno delle
campagne vicino a Ragusa. “Mia moglie ha subito continue molestie dal
padrone” racconta un uomo alle nostre telecamere. Gli operatori delle Onlus
sono stati minacciati. E le interruzioni di gravidanza sono in aumento: “In
ospedale arrivano delle bambine, quindicenni che dopo il parto abbandonano i
figli”, scrive Duccio Giordano su “L’Espresso”.
Sicilia, sulle schiave romene si muove il Parlamento. Dopo l’inchiesta
dell’Espresso, due interrogazioni parlamentari sul caso delle immigrate
dalla Romania violentate e seviziate. Avviato in prefettura a Ragusa l’iter
per un protocollo d’intesa che coinvolgerà anche gli agricoltori. E la
stampa della Romania si interessa al caso, scrive Antonello Mangano su
“L’Espresso”.
I festini agricoli e gli aborti delle mille schiave romene, scrive Dario Di
Vico su “Il Corriere della Sera”. Nell’epoca di Facebook, del tutto-in-Rete
e dei conflitti gridati, esistono ancora i drammi sordi. Quelli che si
consumano nel silenzio, nello scorrere uguale di giorno/notte e trasformano
gli scandali in abitudini. Dopo le accuse di don Beniamino Sacco e della
Cgil sullo sfruttamento delle romene nelle campagne di Vittoria, capitale
del pomodoro ciliegino e datterino, ci si comincia a chiedere cosa succeda
veramente nella zona che va da Scoglitti ad Acate, su su fino a Ragusa.
Braccianti e schiave sessuali a Ragusa. Il Parlamento indaga sui festini
agricoli, scrive Luisa Pronzato su “Il Corriere della Sera”. Difficile farle
denunciare. Le operaie agricole rumene che lavorano nella “fascia
trasformata” del ragusano sono sfruttate, segregate, abusate. E ricattate
dai loro padroni. Violenza economica e sessuale oscurate da omertà,
impossibilità di scelta, isolamento, pregiudizio.
Su questa falsa riga di rappresentare l’imprenditore agricolo del sud Italia
come l’orco che schiavizza gli immigrati e non solo, Alessandro Leogrande,
ormai famoso giornalista e scrittore impegnato, gira le scuole per parlare
con gli studenti del suo ultimo libro, “Uomini e caporali. Viaggio tra i
nuovi schiavi nelle campagne del Sud”, edito dalla Mondadori.
Eppure ad approfondire bene la materia si trova un’altra verità. Tutta
l’Italia è paese e i caporali sono gli stessi immigrati.
Sfruttamento nei campi: succede anche al nord, scrive Luigi Riccio su
“Corriere Immigrazione” Franciacorta, Chianti, Castelnuovo Scrivia: anche
qui migranti vessati e ricattati. Rosarno non è poi così lontana. Lavoro
nero, caporalato e sfruttamento dei migranti rappresentano un elemento per
così dire strutturale nell’agricoltura del mezzogiorno d’Italia. E’ un fatto
risaputo e documentato nel tempo da molti articoli e da studi e ricerche.
Una delle più recenti è quella coordinata da Enrico Pugliese (Diritti
violati, coop Dedalus). Ciò che è decisamente meno noto è che anche al Nord,
in regioni e contesti insospettabili, questo costume si è ormai radicato e
migranti sottopagati, costretti a orari impossibili e sforzi abnormi fanno
sempre più spesso da sfondo al paesaggio agricolo. Succede, per esempio, in
Franciacorta, sulle colline tra Brescia e il lago d’Iseo, dove si
concentrano aziende vitivinicole tra le più celebri d’Italia e si producono
bollicine di elevata qualità, in grado di competere con quelle francesi.
Caporalato e mafie: “700mila schiavi nell’agricoltura italiana”. Il
Flai-Cgil presenta il primo rapporto su un fenomeno che non tocca solo le
regioni del Sud. Dietro il cibo che arriva sulle nostre tavole ci sono
stagionali stranieri pagati 4 euro l’ora in condizioni fuori da ogni regola.
E spesso sotto il controllo mafioso, scrive Elena Ciccarello su “Il Fatto
Quotidiano”. Diversamente da quel che si può credere però lo sfruttamento
non riguarda solo il mezzogiorno, ma anche le zone più floride del nord,
come Piemonte, Lombardia, provincia di Bolzano, Emilia-Romagna e Toscana
(guarda la mappa completa). In tutti questi territori, come in Campania,
Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, i ricercatori della Flai Cgil hanno
scovato datori di lavoro e imprenditori che truffano o ingannano i
lavoratori stranieri, non corrispondendo loro i salari maturati, o facendoli
lavorare in nero, accompagnando il trattamento con minacce più o meno velate
e forme di violenza psico-fisica (manifeste o paventate). In Italia il mondo
del caporalato si è evoluto, lo racconta nel rapporto Yvan Sagnet, portavoce
dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò (Lecce)
nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil in Puglia: “Ci sono i
caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire
tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i
suoi assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti,
degli assistenti, ha i cuochi. A Nardò c’era il capo de capi, era un
tunisino.
Ma è inutile tergiversare su un problema irrisolvibile. Gira gira la colpa
però è sempre del sistema.
Dall’entrata in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le
persone denunciate o arrestate sono solo 42. La metà degli arresti al
centro-nord. “Parliamoci chiaramente, per gli imprenditori il costo del
lavoro italiano è altissimo. Ciò non giustifica l’assunzione di personale in
nero, ma è indubbio che questo fenomeno esiste proprio per sfuggire alle
maglie di questo meccanismo, soprattutto in questa grave crisi”. Il
Procuratore di Foggia, Vincenzo Russo, non usa mezzi termini. “È come
l’evasione fiscale. Quanto più alta è la tassazione, tanto più i soggetti
sono invogliati ad evadere. Questo è indubbio. Quindi, se il costo del
lavoro diminuisse, probabilmente diminuirebbero anche questi fenomeni”.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia