Editoriale di Luigi Pandolfi
Lega, è solo una faida per il controllo del partito
Editoriale di Luigi Pandolfi
Tutti uniti. Com’era prevedibile il dissenso all’interno della Lega si è sciolto come neve al sole. Perché? Perché non di dissenso si è trattato, ma del prolungamento di una faida interna che vede i principali avvoltoi del partito in strenua lotta tra di loro per la successione ad Umberto Bossi. A Milano è andata in scena la commedia dell’ipocrisia, lo spettacolo di un partito in forte crisi di consensi che dietro la parola d’ordine dell’indipendenza della Padania tenta di nascondere la guerra per bande che si sta combattendo all’ombra di un leader sempre più incapace di indicare una rotta e di tenere a cuccia i suoi pretoriani.
“La Lega non è mai stata divisa, eravate voi che lo speravate, ma sapevo che non sarebbe successo niente. È stato facile riunire“, ha dichiarato Bossi; “a me piace la Lega delle passioni, del tutti uniti“, ha aggiunto Maroni. Ma che bel quadretto, verrebbe voglia di dire!
Si, certo, una parte della piazza ha fischiato Bossi, ha chiesto che parlasse l’ex ministro dell’Interno, ma anche alle base del movimento la divisione riflette ciò che si sta consumando al vertice: tifoserie contrapposte che partecipano passivamente alla lotta per il potere che sta dilaniando il gruppo dirigente.
Quali sarebbero, d’altro canto, le differenze tra Bossi e Maroni, tra seguaci di quest’ultimo e adepti del cosiddetto “cerchio magico”, in quanto a posizioni sull’immigrazione e sul Mezzogiorno, piuttosto che in tema di secessione del Nord? Davvero è difficile comprenderlo, stando ad una lettura attenta dello scontro che si sta consumando in questi giorni dentro il partito.
La vicenda Cosentino? Non c’è dubbio che abbia fatto da detonatore in un contesto segnato da invidie e rivalità, da gelosie e vecchie ruggini, ma, obiettivamente, con la guerra in atto non c’entra proprio nulla. Più che di un caso si è trattato di un pretesto.
Il deputato di Casal di Principe è stato salvato dal carcere anche quando Maroni occupava la poltrona di ministro dell’Interno: ligio alla disciplina berlusconiana, in quell’occasione non ci risulta che il nostro si sia scomposto più di tanto per la figuraccia fatta dal suo partito.
La verità: ancora oggi la Lega è un partito che può garantire carriere, occupazione di poltrone pubbliche, spazi di potere in ambiti di sottogoverno e postazioni al sole in svariati consigli di amministrazione. Non solo: la cassa della Lega è cospicua, fa gola a molti. Tanzania docet. È evidente che la lotta fratricida che si sta combattendo sotto il “sole delle Alpi” è soprattutto una lotta per accaparrarsi questa pregevole eredità.
In nome della quale tutti sono disposti a gridare “W la Padania”. Anche Maroni e i maroniani.
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