L’esistenza del Governo delle grandi intese ha fatto implodere il Pdl e la Lega
redazione | Il 15, Giu 2013
Editoriale di Bartolo Ciccardini
L’esistenza del Governo delle grandi intese ha fatto implodere il Pdl e la Lega
Editoriale di Bartolo Ciccardini
Tutti ci domandavamo se l’esistenza del Governo delle larghe intese avrebbe fatto
esplodere la crisi del Partito Democratico così come Berlusconi si augurava. La notizia
vera è questa: l’esistenza del Governo delle grandi intese ha fatto implodere il
PDL e la Lega. Invece il Partito Democratico ha resistito meglio alla siccità elettorale
perché ha una sua struttura nel territorio, fa le primarie, ha ancora una rete e
che è in definitiva, seppur in dimensioni ridotte, ancora un partito. Anzi, per dare
a ciascuno il suo, è ancora l’unico partito che esiste, che ha dei punti di riferimento
nel territorio, che produce una classe dirigente locale, che governa le amministrazioni.
Il prezzo pagato però è pesante: la preoccupante fuga dalla cabina elettorale. Sembra
essere una corsa all’indietro a chi riesce a perdere meno voti.
Questa constatazione ci porta ad una domanda fondamentale: la crisi della democrazia
si risolve con la scomparsa dei partiti?
Il presidenzialismo: un’occasione mancata
E veniamo all’argomento principale: la crisi della democrazia italiana.
È evidente che in Italia, anche in conseguenza di una forte crisi economica, è emersa
una crisi della democrazia fondata sui partiti. Non a caso, è rinato per la forza
che è nelle cose, il problema del “presidenzialismo”. Cosa è stato il presidenzialismo
nel dibattito politico italiano?
È stato un tentativo culturale e politico di alleggerire la presenza dei partiti
nella democrazia italiana.
La Resistenza e la Costituzione avevano messo al centro del processo politico i “partiti
ideologici” e la democrazia esisteva in quanto esisteva una pluralità dei partiti.
La società italiana, liberatasi dal fascismo, non era improvvisamente diventata più
democratica e più liberale. La struttura forte, ordinata dei partiti, le loro classi
dirigenti, provate dalle esperienze del carcere e dell’esilio, la necessità di combattere
la dittatura, perfino con le armi, aveva creato dei partiti forti, che per molti
aspetti occupavano lo stesso spazio che nella società italiana occupava il Partito
Nazionale Fascista.
La differenza fondamentale era la pluralità. E la pluralità garantiva la democrazia.
Ma anche questa pluralità non aveva dato luogo ad una alternanza democratica.
Era la pluralità garantita dalla Democrazia Cristiana, che rendeva questo partito
insostituibile al governo, garantendo al Partito Comunista di essere in qualche modo
insostituibile all’opposizione.
La DC coltivava la pluralità tenendo in piedi delle alleanze variabili con i partiti
democratici, la cui presenza al governo variava secondo le mutazioni necessarie del
dibattito politico.
Un sistema siffatto non poteva non generare una partitocrazia. La Costituzione materiale
italiana si costruiva attorno a dei principi democratici che prevedevano una grossa
influenza dei partiti sul sistema di governo e sul funzionamento della Costituzione.
Se questo sistema venisse confrontato con l’esperienza democratica americana od inglese,
apparirebbe la differenza: in America una società civile e molto articolata, molto
ricca, dotata di autonomie e di contrappesi politici, si manifestava sì attraverso
partiti che avevano una struttura debole e che influivano sul Governo del Paese soltanto
indirettamente attraverso strumenti istituzionali.
Era chiaro che con l’andare del tempo, con l’attenuarsi della guerra fredda e della
contrapposizione fra democrazie popolari e democrazie liberali, il sistema partitocratico
avrebbe dovuto alleggerirsi attraverso una maggiore autonomia delle istituzioni dei
partiti e attraverso l’adozione di formule presidenzialiste. Il presidenzialismo
libera la forma di governo dalla pressione del partito che ha vinto, anche se ne
limita il potere nel tempo di durata e nella contrapposizione dei poteri. Il presidenzialismo
avrebbe potuto essere la soluzione alla inarrestabile crisi della partitocrazia.
L’averlo adottato salvò la Francia. In Italia oggi si rimpiange il non averlo adottato.
Ma forse è troppo tardi. Forse il presidenzialismo è soltanto un’occasione perduta.
L’antipolitica non è una soluzione
Questi pensieri ci propongono un’altra domanda: la crisi della forma governo connessa
alla crisi economica porta ad una incapacità di decidere? Sentiamo ripetere da anni:
“Ci vorrebbe una diversa legge elettorale; ci vorrebbe una diversa burocrazia; ci
vorrebbero processi più rapidi; ci vorrebbe più concorrenza; ci vorrebbero servizi
più efficienti” e si ha l’impressione che queste aspirazioni non arriveranno mai
alla soluzione. Nascono allora formule di rabbia, di scontento e di frustrazione
che danno luogo a movimenti di antipolitica che rifiutano di farsi partito. È stata
così la Lega, è stato così il berlusconismo ed è così il Movimento 5 Stelle. Non
sono stati fenomeni deprecabili, sono soltanto il risultato naturale di una situazione
politica senza sbocchi.
La domanda seguente è questa: riusciranno i movimenti di protesta ad incanalarsi
in un progetto politico o esploderanno?
Questa domanda è effettivamente tragica. Se i movimenti di antipolitica esploderanno
avremo una soluzione necessariamente traumatica, molto probabilmente antidemocratica
ed, in ogni caso, con gravi conseguenze per la vita sociale ed economica del Paese.
Poi, come dopo ogni crisi e come dopo ogni guerra, si troverà una soluzione su equilibri
nuovi. Se i movimenti di antipolitica non esploderanno, essi stessi potrebbero trasformarsi
in partiti o in qualcosa di molto simile ai partiti, per rispondere alle necessità
di cambiamento divenute questioni di vita o di morte della nostra società.
L’attuale regime è già una tirannia burocratica
Del resto a causa della debolezza dei poteri politici un potere forte ci sta prendendo
alla gola. La tirannia burocratica ormai persegue famiglie ed imprese con nuovi ordini,
nuovi balzelli, nuove angherie che non sono più controllate da un potere politico
che doveva risponderne ai suoi elettori. La burocrazia, come diceva un vecchio inno
cattolico, “vincit, regnat, imperat”.
È già di per sé una forma di Governo strutturata ed imponente, dotata di potere incontrollato,
che prende decisioni oppressive ed ingiuste nei confronti dei cittadini.
Come a Camaldoli 70 anni fa
La domanda finale non può essere che una: c’è una strada per uscire da questa situazione?
Sì, c’è una strada. Se il Governo di larghe intese riuscisse a fare una legge elettorale
basata sull’uninominale a doppio turno e se i sindaci (Renzi insegni), selezionati
ed eletti da un congegno analogo si trasformassero in canale rappresentativo delle
necessità popolari e tutto questo in pochissimi mesi, ci potremmo anche salvare.
In tutto questo processo si evidenzia la mancanza di una posizione trasversale equilibrata
ma innovatrice, popolare e disciplinata, quale era il cattolicesimo politico. Se
non si rifonda il cattolicesimo politico che si collochi fra l’antipolitica e la
crisi dei partiti, difficilmente so troverà una soluzione. Ma l’attuale cattolicesimo
politico che sovrabbonda di idee, di propositi morali, di esortazioni, di studi,
di convegni e di seminari non trova l’organismo identitario capace di offrire una
soluzione pratica. Un partito? Un movimento prepolitico? Un Comitato Civico distaccato
dalla gerarchia? Una entità confessionale? Un semplice Comitato elettorale? Se non
si farà qualcosa le parrocchie andranno ad infoltire l’astensionismo che è l’ultima
forma dell’antipolitica.
Le Acli e l’Associazione dei Partigiani Cristiani invitano ad una riflessione nel
giorno del settantesimo anniversario del Codice di Camaldoli. Allora il cattolicesimo
politico acquistò non solo la consapevolezza della tragedia, ma la coscienza di porre
fine al disastro e di ricominciare una via nuova. Settanta anni fa a Camaldoli.