L’hilaritas e l’humanitas del teologo Riflessione di Don Leonardo Manuli
Gesù, non è venuto a predicarci una teoria o una filosofia, ma beatitudini, gesti di custodia, per coltivare una responsabilità come umani: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 1,15). In questo versetto, è racchiusa la responsabilità dell’umano, di essere padre, madre, custode, sentinella, di generare alla vita, ed ha nelle mani il mondo, perché con tenerezza e amore lo faccia crescere.
La responsabilità e la chiamata, quale impegno serio impegno di essere sempre un cercatore della verità, perché immerso nella ricerca e nelle sue indagini di ipotesi da verificare, estende la conoscenza, grazie allo «studio rende la mente spaziosa» (T. RADCLIFFE, Una verità che disturba. Credere al tempo dei fondamentalismi, Bologna 2019, 83) e sin dall’inizio del suo esserci sulla terra, non ha smesso di inventare, di creare, di viaggiare, di scoprire e di cercare. Oggi, non è venuta meno questa responsabilità, è necessario ravvivarla. L’umano è un insoddisfatto per eccellenza, uno audace, amante delle avventure. Egli è teologo e filosofo, medico ed economo, contadino e artigiano. È sempre alla ricerca, scettico e dubbioso, come il filosofo, il teologo ed ogni scienziato, con gli occhi attenti sulla realtà e con le orecchie in ascolto. La verità del quale è in ricerca il teologo non è una ideologia o quella scientifica, altrimenti diverrebbe un fondamentalista, invece è incarnata, una conoscenza non distaccata e astratta. Gesù è una persona: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 1), che non esclude «La paziente ricerca della verità attraverso lo studio» (T. RADCLIFFE, 76) che fa spazio al mistero.
La teologia non può ridursi ad una questione accademica o da topi di biblioteca, la figura del teologo è molto trasversale, anche un contadino, che guarda le stagioni con pazienza, un pittore che ammira il cielo stellato o si meraviglia di un tramonto, un poeta che racconta lo scorrere della vita, un musicista che con le melodie loda l’universo, essi sono amici e compagni di Dio e degli umani. È l’umano stesso che si domanda sempre, si chiede il senso della vita, “se il nostro universo ha un destino ultimo o va alla deriva verso una estinzione priva di senso” (cf. p. 13). Egli non cade in una sensazione puramente soggettiva di verità, sovverte i pregiudizi, si confronta, dialoga. Certo, poi ci sono i teologi che hanno come oggetto un continuo studio e approfondito: «Lo studio profondo è una specie di amore. Ci libera dalla preoccupazioni egoistiche. Ci apre a ciò che è diverso e altro. Allarga il cuore e la mente, sviluppa ciò che l’Aquinate chiamava latitudo cordis» (RADCLIFFE, 81), di pensare e sentire con la chiesa, di aggiornamento e di interpretare “i segni tempi”, di entrare in contatto con le speranze e le gioie del mondo, sempre alla ricerca della verità che sprigiona una forza liberante: «Vivere sotto la piena sovranità della verità, la quale non è un nostro prodotto, ma è nostra signora. (…). Vivere nella responsabilità di fronte all’amore, che ci attende e ci ama in prima persona. Vivere avvertendo la pretesa dell’Eterno» (J. RATZINGER, Dogma Predicazione, Brescia 1974, 364 ss.). Siamo consapevoli che oggi è molto complicato parlare di verità, viviamo nel mondo della postverità, e «Chi dedica la sua vita allo studio è testimone coraggioso della vocazione umana a ricercare la verità (RADCLIFFE, 76), un’ascesi lunga, feconda e a suo tempo generativa: «Lo studio serio è duro, è una disciplina ascetica. Richiede pazienza e dedizione, anno dopo anno» (RADCLIFFE, 71-72).
Tanti hanno una verità, direi, reazioni pancia, in tempo di relativismo, di risposte semplicistiche, di slogan, però il teologo non offre risposte preconfezionate, sente in grande, gode della latitudo cordis, interagisce con il pittore, con il musicista, con il romanziere, con il poeta e il regista, con ogni persona semplice, a volte si usa un linguaggio elevato, a volte si abbassa. Soprattutto, nei gesti custodia e di coltivare l’interesse di Dio per ogni uomo e per ogni donna, pone la verità in dialogo con la Parola di Dio, non scruta le Scritture perché Dio sia d’accordo con noi o per colpire gli altri. Egli si fa carico della complessità del mondo, senza compromessi, è immerso nel mondo, prega, insegna ed educa, vive il dubbio, di ricercare, esplorare, ha una spiritualità degli occhi aperti, si domanda il modo in cui veniamo nel mondo, la sua non è una disciplina ristretta e isolata, senza «Mai temere la verità è una allarga il cuore e la mente» (RADCLIFFE, 71-72). Infine, ogni buon teologo, è paragonato al «Grande studioso ossessionato da domande che non lo lasceranno andare, ma che lo spingeranno a penetrare il misero sempre più a fondo. Come Giacobbe, combattiamo lo straniero nella notte» (RADCLIFFE, 79-80), è un testimone gioioso di Gesù Cristo, che non si rassegna all’indifferenza. Egli si assume la responsabilità di aiutare a sognare, di immaginare e desiderare, caricandosi del grido dei poveri e della fame di senso, di offrire speranza a chi soffre l’ingiustizia, e si impegna perché il sogno di ogni uomo e di ogni donna, corrisponda a quello di Dio, per un mondo più sano, vero e vivibile, a restituirci il nostro essere stati creati ad “immagine e somiglianza di Dio” (cf. Gen 1,26), camminando in questo mondo con un sorriso fiducioso.