“Liberazione vuol dire anche rispetto dei lavoratori” Lo dichiara il segretario del Sul, Giuseppe Gentile
Lavoratori non utilizzati, vessati, perseguitati con spostamenti continui, sottratti dalle proprie mansioni, sottomessi dal potere decisionale, tutto ciò costituisce un inadempimento del datore di lavoro agli obblighi contrattuali che è certamente vietato, anche nel rapporto di lavoro pubblico. Alcuni di questi elementi sono stati scritti nella decisione, vergata dal Giudice del lavoro presso il tribunale di Palmi, della sentenza emessa alla vigilia della Festa della Liberazione sul ricorso d’urgenza promosso dalla lavoratrice Bruzzì Maria assistita dal SULPI col patrocinio legale dell’Avv.to Barbara Polimeni, contro l’amministrazione comunale di Cittanova. Il lungo iter giudiziario ha visto l’avvicendamento di ben tre Giudici ed i fatti oggetto della controversia risalgono al dicembre 2014. In quel tempo la nostra assistita era stata trasferita dal suo posto di lavoro, dove occupava un ruolo importante da oltre 37 anni, per essere assegnata al comando di Polizia Municipale e successivamente in altri 3 servizi del comune senza poter svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Soltanto nel periodo compreso tra il 21 luglio e il 31dicembre 2016, a seguito del collocamento a riposo di una sua collega, è stata utilizzata nel settore dell’urbanistica. L’illiceità del comportamento dei vertici del comune, più volte denunciate dal SULPI ma senza avere alcun riscontro, ha posto la Sig.ra Bruzzì in una situazione di inattività, senza assegnazione di mansioni e di una postazione di lavoro. Ciò ha comportato una grave condotta lesiva del diritto fondamentale al lavoro, della professionalità e dell’immagine. L’istruttoria ha provato la fondatezza del ricorso, così come deciso dal Giudice Dott.ssa Maria Antonietta Naso, in quanto la ricorrente per un periodo di tempo significativo è stata posta in una situazione di forzata inattività. Difatti, la Sig.ra Bruzzì non si poteva occupare di nulla, non essendole stata assegnata alcuna mansione né alcuna postazione lavorativa e non fu messa nelle condizioni di operare per svolgere le mansioni proprie dettate dal ruolo istituzionale. Di contro, il Comune non ha potuto indicare quali fossero in concreto le specifiche mansioni affidate alla Sig.ra Bruzzì durante i continui trasferimenti da un posto di lavoro all’altro, né ha prodotto disposizioni di servizio attributive di specifici incarichi perché non ci sono mai state e l’intento è stato quello di isolare la dipendente e sottoporla alla gogna dei colleghi e dei cittadini, venendo additata come “imboscata”. Tra l’altro, l’inattività e la dequalificazione professionale ha determinato una pluralità di pregiudizi relativi, per un verso, al profilo della capacità economica della lavoratrice (con il decremento ovvero con l’obsolescenza del patrimonio professionale acquisito in 37 anni di lavoro, tale da incidere sulle possibilità di avanzamento in carriera e sulla opportunità di reperimento di nuova occupazione; per altro verso, alla dignità professionale e al diritto fondamentale alla libera esplicazione della propria personalità nel luogo di lavoro. Il Giudice Dott.ssa Maria Antonietta Naso ha condannato l’Amministrazione Comunale alle spese di giudizio a favore della parte ricorrente per un importo di € 2.400,00. E pensare che intere dinastie sono presenti nel comune e determinano il bello e il cattivo tempo. Quest’ultime non si toccano e si fa di tutto per liberare posti di lavoro relegando, ancora oggi, i veri lavoratori in posti dove non c’è nessun carico di lavoro. Di questi poveri cristi il SULPI si farà carico avviando nuove iniziative per combattere il fenomeno dei lavoratori senza mansioni e senza un lavoro da svolgere.