Licenziato come “ladro di merendine” va riassunto Secondo la Cassazione il dipendente va riassunto anche se condannato in sede penale
E’ il clamoroso risultato di una battaglia legale che si è conclusa in Cassazione
dove i giudici hanno ritenuto sproporzionato la sanzione espulsiva ai dipendenti
del supermarket sorpresi a mangiare merendine, gelato e a bere succhi di frutta sottratti
dalle scorte del supermercato senza permesso, consumandoli all’interno dell’attività.
A niente valsero le spiegazioni del dipendente e con lui i quattro colleghi in turno.
Ma l’azienda cooperativa considerò questo episodio come furto, procedendo al licenziamento
dei dipendenti e alla denuncia penale. Venerdì con la sentenza 15058 del 17 luglio
2015 gli ermellini della sezione lavoro di Cassazione hanno dichiarato illegittimo
il licenziamento così rigettando il ricorso di una cooperativa di consumo che ha
ritenuto sbagliata la pronuncia della Corte territoriale in merito al licenziamento.
Gli ermellini nella sentenza hanno stabilito che “Il giudice di merito deve valutare
la congruità della sanzione espulsiva tenendo conto di ogni aspetto concreto della
vicenda che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico
della gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi
a tal fine preminente rilievo sia alla configurazione che delle mancanze addebitate
faccia la contrattazione collettiva, che all’intensità dell’elemento intenzionale,
al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti
modalità di attuazione del rapporto ed alla sua durata ed all’assenza di precedenti
sanzioni, alla sua particolare natura e tipologia.”. Inoltre “Non conta la loro condanna
in sede penale perché il giudizio penale concerne solo l’accertamento dei fatti
materiali e non vincola l’autonomo apprezzamento del giudice del lavoro in termini
di configurabilità della giusta causa o del giusto motivo di licenziamento. I giudici
di merito avevano disposto la reintegra nel posto di lavoro dei lavoratori sostenendo
che i fatti non fossero talmente gravi da giustificare la massima sanzione espulsiva,
considerando la tenuità del valore dei generi alimentari sottratti e la scarsa consapevolezza
dei lavoratori di commettere un illecito. Secondo la parte datoriale, invece, il
fatto che tutti i lavoratori fossero stati condannati in sede penale e il contegno
la loro mostrato evidenziasse la loro consapevolezza verso la gravità dell’azione
commessa. Inoltre il contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti da
imprese della distribuzione cooperativa prevede il licenziamento per giusta causa
in caso di appropriazione sul luogo di lavoro di beni aziendali o di terzi. Il collegio
sottolinea però che essendo quella di giusta causa o di giustificato motivo una
nozione legale, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice
di merito. Aggiungono che «egli – anzi – ha il dovere, in primo luogo, di controllare
la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell’articolo
2016 Cc e rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato
motivo di licenziamento condotte per la loro natura assoggettabili, ex articolo 2106
Cc, solo ad eventuali sanzioni conservative». In questo caso, evidenzia Giovanni
D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, i giudici distrettuali
hanno ritenuto che il comportamento dei lavoratori non fosse caratterizzato da connotati
tali da far ritenere che la sua realizzazione avesse fatto venir meno il rapporto
fiduciario tra le parti.