Aprire spazi ulteriori all’associazionismo nella MetroCity Riflessione sulla tematica da parte del sociologo Mimmo Petullà
di Mimmo Petullà
Una delle più complesse e più importanti questioni, a proposito della costituzione della Città Metropolitana di Reggio Calabria, risulta ancora oggi riconducibile all’idea di cittadinanza attiva, che ovviamente si trova a fondamento di ogni politica democratica e progressista, unitamente alle esigenze di dare impulso ad autentiche relazioni tra soggetti diversi. Si tratta, a ben vedere, di un principio che si riferisce – tra l’altro – ad analisi e interpretazioni chiamanti in causa la qualità e le esigenze di sviluppo dell’associazionismo. Il punto nodale, che fra le varie trattazioni meriterebbe di essere dialetticamente problematizzato, risiede nella necessità di creare ulteriori condizioni per favorire il sostegno a questo fenomeno – nel contesto di un pensabile e organico piano di sviluppo – assegnando stabili e definiti ruoli decisionali nei percorsi programmatici, gestionali e valutativi dei provvedimenti e dei servizi.
La sfida, più propriamente, si lascia cogliere nell’individuazione di strumenti volti a riconoscere al privato sociale spazi – istituzionalmente attivi – in grado d’incoraggiare l’effettuale partecipazione alla più generale e strategica pianificazione dello sviluppo dell’area urbana metropolitana in questione. Trascurare questo essenziale processo democratico, tra l’altro intrinsecamente conglobante le reti delle famiglie, significa esporsi al rischio di nullificare quell’imprescindibile e identitaria ragione di fondo – che appunto per questo non è solo politica e amministrativa, ma anche culturale e simbolica – ispirante e delineante le vitali funzioni di solidale coesione e integrazione territoriale della stessa città metropolitana. Sembra opportuno ricordare, d’altra parte, che il presupposto di ogni evocata forma del coinvolgimento – nell’ambito del perseguimento degli obiettivi dell’ente territoriale – implica la costruzione di una realtà che non può non essere considerata inclusiva, grazie alla valorizzazione di una visione che risulti sistematicamente condivisa da tutti gli attori sociali che assumono una rilevanza pubblica.
E’ da immaginare che questa direzione di senso indichi la necessità di compiere rinnovati slanci, capaci di superare eventuali limiti strutturalmente centralizzati che impediscono la piena rappresentanza delle associazioni – a partire dalle organizzazioni integrate dal basso e considerate residuali – pregiudicando le dinamiche di un confronto ampio, plurale e in modo particolare rapportato a prassi di natura deliberativa riguardanti il merito delle politiche sociali. Si tratta di un’argomentazione che si presenta caratterizzata da una notevole rilevanza – peraltro non inferiore a quella concernente le corresponsioni di supporti finanziari – anche perché sollecita a ripensare inedite configurazioni delle modalità di coordinamento, confronto e coesistenza tra le differenziate forme di socialità e il più ampio sistema pubblico.