L’importanza del porto di Gioia Tauro per la Calabria Editoriale di Caterina Sorbara
Tanto tempo fa, dopo i moti di Reggio Calabria del 1969, i governanti dell’epoca promisero l’assegnazione alla città di Gioia Tauro del V° centro siderurgico: impianto collocato nella Piana, per compensare i reggini per la perdita del Capoluogo di Regione, assegnato a Catanzaro. L’insediamento industriale, nelle previsioni, avrebbe dovuto dare 7.500 posti di lavoro. Ciò mentre la domanda di acciaio in Italia e nel mondo calava paurosamente.
A Gioia Tauro politici ed istituzioni, e dietro ad esse l’onnipresente ombra della ‘ndrangheta, fecero finta di nulla e furono espropriati i terreni, deviati i corsi dei fiumi e si iniziò a preparare l’area per l’insediamento industriale. Dopo ben cinque anni, venne dato atto dai potenti delle oscure stanze romane che il tourbillion dei miliardi stanziati per il Centro Siderurgico, non serviva più. Non si farà, dicevano, perché sarebbe antieconomico data la crisi mondiale dell’acciaio. Intanto ‘ndrangheta e altri, premevano perché si continuassero i lavori di esproprio e sbancamento. I sindacati si arroccavano sulla posizione ”acciaio o niente” e tutti i partiti affrontarono le elezioni regionali del 1975 con lo slogan <<Gioia Tauro si deve fare>>.
Con un magheggio di non poco conto prese corpo e iniziò la costruzione di un porto che, si diceva <<diventerà il terminal nazionale carbonifero>>. Così il “giro” dei miliardi riprese corpo e si configurò in un fiume di denaro e si iniziò a parlare di altri progetti: una fabbrica di ricambi d’auto, un laminatoio a freddo, una zecca, uno stabilimento militare. Da questi presupposti, fra fiumi di sangue versati dagli ‘ndranghetisti del tempo per accaparrarsi appalti e sub appalti legati agli sbancamenti e al movimento terra, e malumori di ogni sorta fra le popolazioni, alla fine nacque il Porto di Gioia Tauro.
Questi i suoi numeri: 250 metri di larghezza per l’imboccatura; 750 metri di diametro per il bacino di rotazione sud e 350 metri per il bacino di rotazione nord; 3011 metri la lunghezza dalla banchina lato est e 144 metri quella lato nord; 200 metri la lunghezza minima del canale. A Gioia Tauro possono arrivare navi di 300 metri di lunghezza in grado di trasportare anche 8.000 containers. La merce, e da ciò porto di transhipment, viene scaricata dalle navi grandi, dette navi madri e reimbarcata sulle “feeder”, navi di più modeste dimensioni in grado di giungere nei porti di minore ampiezza.
La struttura marittima, super attrezzata, utilizza 14 gru a portale, 3 gru mobili, 45 straddle carriers, 6 reach stackers,1 fork lifts,11 trattori e 60 semirimorchi. Il porto è gestito dalla “Medcenter” che opera in un’area di 1.200.000 metri quadrati, con una zona per lo stoccaggio di 800.000 metri quadrati e con 500 connessioni frigo. Nel 2005, il Porto di Gioia Tauro è arrivato a movimentare 3.210.000 teus.
Si può senza ombra di dubbio dire che lo scalo gioiese è diventato in pochissimi anni, uno dei più importanti del Mediterraneo, per movimentazione di containers. Con l’operazione del 2 luglio 2014, inerente il trasbordo delle 800 tonnellate di armi chimiche siriane, lo scalo gioiese ha dimostrato di essere all’altezza di quelli di Shanghai, Rotterdam, Los Angeles, Shenzhen e Singapore. I lavoratori scelti direttamente da MCT hanno dimostrato competenza e serietà che, sarebbe ora venissero premiate.
Purtroppo, nonostante tutto, lo scalo gioiese continua a “star male”. E’ indispensabile e soprattutto urgente “cambiare registro”. Non può e non deve più bastare la semplice movimentazione di containers! Bisogna istituire subito la Z.E.S. e il retro porto industriale. Bisogna puntare all’ammodernamento delle infrastrutture. Le merci devono essere lavorate a Gioia Tauro. Bisogna che i sindacati, i politici e le istituzioni si impegnino a 360 gradi, affinchè il governo centrale, mantenga le promesse fatte allo scalo gioiese.
Il rischio è che sul Porto scenda ancora una volta il silenzio oppure altre beffe e, come abbiamo già tante volte denunciato, tutto rimanga com’è adesso. Se il Porto non decollerà, se le merci non saranno lavorate a Gioia Tauro, sarà un male per tutta la Calabria, non ci sarà mai un futuro occupazionale per i nostri giovani, che saranno costretti ad andare via, o peggio ancora, cadranno nelle fila della criminalità organizzata, che come tutti sanno (senza nascondersi dietro l’omertà) garantisce puntuale lo stipendio.
Ma una domanda nasce spontanea e un dubbio sinuoso serpeggia nelle nostre anime: c’è una seria volontà nazionale ad impegnarsi per lo scalo gioiese? Ci sono fantasmi che impediscono l’apertura di tutti i containers? Dicono che lo scalo gioiese sia lo scalo della droga, ma se la droga arriva a Gioia Tauro è perché parte e attraversa altri porti, a volte è diretta verso altre destinazioni.
E’ una balla vera e propria, per non far crescere il porto che possiede tutti gli elementi per decollare ed essere la salvezza della nostra terra. La speranza è che questo o i prossimi governi, sappiano finalmente mantenere le promesse e far programmazione e che, finalmente il porto abbia il ruolo che si merita a livello internazionale.