Cattivi pensieri Riflessione del giurista blogger Giovanni Cardona sul rapporto tra politica e legge
Luigi Firpo in una bella ed amara pagina dei Cattivi pensieri concludeva che gli uomini sono irrimediabilmente cattivi.
E’ appena il caso di precisare che qui non mi pongo nell’ordine valutativo del cristiano, per il quale va riconosciuta e affermata in ogni caso la supremazia della «carità» rispetto al «diritto».
Quella supremazia che a Francesco Carnelutti faceva invocare, nei suoi ultimi anni, «sempre meno diritto», e a Sergio Cotta, insigne filosofo del diritto, faceva considerare che la legalità implica misura di diritti e doveri; mentre la vita cristiana, nella pienezza dell’amore, trascende ogni contrapposizione di diritti e doveri.
Queste voci ricordava, e commentava da par suo, Arturo Carlo Jemolo, in Questa repubblica.
Né mi pongo nell’ordine valutativo dei cultori di discipline filosofiche o di scienze sociali, sollecitati da varie riflessioni a negare il primato del diritto e a sottolinearne la crisi profonda come strumento di difesa della società e di progresso dei valori.
Mi pongo bensì dal punto di vista dello studioso e dell’operatore professionale del diritto positivo; il quale non può mancare d’avvertire, che i comportamenti comunemente apprezzati come criminali, trovano spesso sanzione in un ampio e articolato sistema sanzionatorio penale.
Al di fuori di esso, opera un complesso di più o meno gravi sanzioni amministrative, che colpiscono innumerevoli comportamenti proibiti, ancorché non qualificati d’illiceità penale.
Sul piano civile esiste un costante richiamo normativo alla «buona fede» come regola di comportamento nei rapporti umani, la cui valenza inibitoria di qualsiasi slealtà o scorrettezza non può sottovalutarsi.
Esistono norme di tanto ampia portata e universale significato, come il precetto del neminem laedere, da abbracciare ogni ipotesi d’illecito civile ed offrire protezione riparatoria generale: «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».
Esistono infine delicati meccanismi di copertura delle lacune normative, come l’analogia e il ricorso ai principi generali dell’ordinamento.
Scaricare la colpa d’ogni sfasamento e d’ogni stortura sulla legislazione, e soprattutto sulle sue vere o presunte carenze e lacune, costituisce spesso, per i reggitori e i detentori di potere ai diversi livelli, un comodo alibi, con cui giustificare o far dimenticare inefficienze, arbitrii, prepotenze, avidità.
La classe politica preferisce vedersi censurare nella sua attività legislativa, di cui non risponde o risponde solo collettivamente e moralmente, piuttosto che nella sua attività di governo e di amministrazione, di cui risponde o dovrebbe rispondere anche individualmente e giuridicamente, nei singoli partiti, gruppi, organi, esponenti, dirigenti.
Ma anche per i semplici cittadini la facile e spesso gratuita accusa al carente sistema legislativo offre una scappatoia morale, una pilatesca giustificazione alla rinuncia, al disimpegno, all’arbitrio.
L’atteggiamento segnalato rappresenta occasione e pretesto per una legislazione a getto continuo, spesso interessata e pilotata; una legislazione di tamponamento, di ripiego, di favore, non di rado sollecitata solo da ambizioni personali e da scadenze elettorali. Rappresenta un incentivo per le velleità riformistiche più disparate; una scusa per il malcostume politico dei decreti legge a ripetizione, a catena, a cascata, peggiori delle gride di manzoniana memoria; delle leggi «fotografia»; di altre storture della legislazione improvvisata e d’emergenza, con grave pregiudizio per la «certezza del diritto», che sempre più si colora d’utopia.
Non si può certo negare che il nostro paese abbia bisogno di riforme. Ma di riforme meditate e studiate e preparate nei loro strumenti di applicazione, e sottoposte all’esame preventivo degli esperti e soprattutto al vaglio dell’opinione pubblica. Di riforme che, una volta varate, siano pazientemente assimilate e coerentemente applicate.
Per dirla con parole d’un altro grande giurista dei nostri tempi, Aurelio Candian: «ad ogni nefandezza che scoppia per entro questa nostra caligine, si pensa di addormentare la gente con il dire che il difetto è nelle leggi, e che bisogna farne delle nuove. Ma non è vero. È un inganno anche questo. È un alibi. Le leggi ci sono: e basterebbero. Gli è che non vengono applicate». «Non di fabbricare leggi si tratta, ma di dare ogni giorno l’esempio dell’operare rettilineo e indefesso, e di applicare imparzialmente le leggi che ci sono, e di tirar giù dal muro retrostante agli scanni dei collegi giudiziarii quella tale tavola, corrosa dalla polvere degli anni …, dove è scritto che “la legge è eguale per tutti”: tirarla giù, intendo, per farne il supremo precetto della Vita collettiva in ogni giorno e in ogni ora».
Più il tempo passa e più si rende evidente che i mali che affliggono il nostro paese non tanto dipendono dalle carenze legislative o dalle cattive leggi, quanto dalle cattive coscienze e dalla non abbastanza diffusa e difesa e insegnata e rispettata «morale dei galantuomini».
Meglio, in ogni caso, leggi tecnicamente imperfette applicate con buona coscienza, nel rispetto della morale dei galantuomini, che leggi perfette applicate con cattiva coscienza in ispregio di quella.