L’ingiustizia dei giusti Analisi del giurista blogger Giovanni Cardona sulla caduta della sacralità e dei dogmatismi nella politica e nella legge
Si apprende dalla stampa che il cappellano di un carcere italiano ha scoperto una microspia, nascosta nel confessionale per registrare i colloqui di un detenuto.
Il religioso avrebbe denunziato il fatto come attentato al segreto della confessione, mentre l’uso del machiavello pare sia stato autorizzato da un magistrato della locale Procura allo scopo di acquisire elementi utili ad indagini e investigazioni.
Tutto ciò é indicativo dello stato di grave involuzione del nostro processo, nonostante la decantata ispirazione garantista del diritto di difesa, che doveva permeare il nuovo codice di procedura penale nella sua concreta applicazione.
L’episodio, di marca inquisitoriale, fa riandare con la mente ai secoli bui della Santa Inquisizione, allorché il processo fu programmaticamente degradato a strumento di oppressione, di estorsione di “verità”.
Al punto che il Carena, nel suo Tractatus de Officio Sanctissimae Inquisitionis del 1665 poté scrivere “se qualcuno dice eresie durante il sonno, si dovrà indagare sul suo modo di vivere, perché ciò che impegna l’uomo durante il giorno, ritorna nel sonno“.
Passano i secoli, ma la voglia di violare i più segreti recessi della coscienza dell’accusato non arretra.
Alla vigilanza occhiuta, anche durante il sonno, praticata nel periodo aureo dell’Inquisitore, oggigiorno – grazie al progresso tecnologico – subentrano sofisticati mezzi di controllo sociale, fino a violare l’intimità del confessionale per nuove forme di ragion di Stato giudiziaria.
Lo scenario giudiziario è pervaso da linguaggio bellico, o da patologia chirurgica o ancora da stagione di caccia.
Un lessico da cecchini, da decimazioni, da plotone d’esecuzione, che non s’addice ai discorsi e ai ragionamenti sulla Giustizia, che dovrebbero essere austeri e pacati.
La Storia insegna da sempre che il destino delle nazioni non si compie nelle aule di giustizia.
Si tratta di catarsi illusorie, per quelle eseguite unicamente con arresti e processi.
Spuntano fatalmente voglie represse di Tribunali Convenzionali (storia di Francia) o Speciali per la Difesa dello Stato (storia d’Italia).
E’ sulla spinta di tali furori che il carattere della giustizia muta, da ordinario in straordinario.
Il che può avvenire, nella sostanza, anche attraverso forme e apparenze normali.
Si opera uno stravolgimento, allorché l’emergenza assume la veste della continuità e della permanenza, tali da offuscare lo stesso spirito della legislazione e l’amministrazione della giustizia.
In tale clima le regole dell’imparzialità e della moderazione cedono alla pratica del “braccio violento della legge”.
Si finisce con indulgere a tipi di giustizia sommaria, poco meditata, nemica di ogni attenuante, priva di pietà e di equità.
In quanto tale essa si ritorce, prima o poi, sulla stessa schiera urlante dei fautori delle “purghe”.
C’é una gag irresistibile del cinema muto, quella dell’innaffiatore innaffiato, dei fratelli Lumière.
Essa s’addice ai tartufi d’ogni tempo, ai giacobini di giornata che pretendono, e si illudono, di rigenerare la società, purché “a modo loro”, con tinnire di manette, con ostracismi e liste di proscrizione.
Questo é il bel Paese, dove fioriscono i limoni (secondo Goethe) dove si agitano cappi per linciaggi annunziati; dove si capovolge la presunzione di innocenza.
Dove si reclamano le teste degli indagati, ad indagini appena iniziate; dove di fronte ad arresti considerati inevitabili, giustificati per ottenere confessioni, con la paura di mali peggiori, la montagna giudiziaria partorisce il topolino di un paio di giudizi con pubblico dibattimento, in parte con riti abbreviati patteggiati.
Ma lo scenario sconvolgente di questa ineffabile storia nazionale è completato anzi dominato dalle figure più inquietanti, quelle dei suicidi per vergogna, sensi di colpa o quant’altro nessun giudice terreno riuscirà mai a indagare.
Gli spettri di quanti si sono tolti la vita sui sentieri di gloria e di miseria, calcati da nuovi carnefici e nuove vittime, aleggeranno a lungo tra noi per ammonirci con il richiamo evangelico così spesso inascoltato, nolite iudicare ut non iudicemini (Matteo 7, 2).